Beniamino Artom

L’educazione religiosa come ultimo baluardo contro l’abbandono delle tradizioni

Beniamino Artom nacque ad Asti nel 1833. La documentazione conservata dall’Archivio Terracini concerne principalmente il periodo in cui fu rabbino a Saluzzo. Vi si insediò il 3 giugno 1859 e vi esercitò il ministero rabbinico fino al 1864, quando divenne rabbino di Napoli. Appena due anni dopo, Artom fu chiamato dalla Spanish and Portuguese Jews’ Congregation di Londra, dove rimase fino alla sua morte avvenuta nel 1879.
Dal verbale della seduta del 30 settembre 1863 veniamo a sapere che Artom presenziò in via straordinaria alla riunione del Consiglio di Amministrazione di Saluzzo, nella quale furono discusse le deliberazioni del Congresso di Ferrara. Sfortunatamente non vi emergono interventi diretti del rabbino, che ci consentano di conoscerne la posizione sui temi che furono oggetto di dibattito al Congresso. Dopo pochi mesi gli successe Emilio D. Bachi, che lo sostituì alla guida della comunità.
Cionondimeno, Artom fu dinamico ed energico nella guida della comunità saluzzese. Al pari di Terracini mostrò piena consapevolezza del cammino intrapreso dall’Ebraismo italiano in seguito all’emancipazione. Da un lato ne cantò gli aspetti positivi in un inno composto per il dodicesimo anniversario dell’emancipazione, dall’altro tentò di arginare l’inosservanza dei precetti e di promuovere l’educazione religiosa.
In una lettera del 27 dicembre 1863 Artom esortava i propri fedeli ad osservare i digiuni dei Shovavim (שובבים “ribelli, trasgressori”), prescritti per i mesi di gennaio e febbraio. Questi dodici digiuni, che in passato erano praticati da tutti, venivano ora trascurati, segno di un ben più ampio fenomeno di «indifferenza religiosa». Ciò che desta interesse è la scelta di Artom di mitigare il precetto, invece di richiamare perentoriamente la comunità all’ordine. Concede, infatti, di osservare uno solo dei dodici digiuni, a condizione che la sua celebrazione sia resa più solenne e partecipata. Se da un lato sono chiare le ragioni che indussero il rabbino a tale decisione – superare la barriera d’indifferenza dei propri correligionari – nondimeno Artom interviene in certa misura sull’entità del precetto stesso.
Per quanto concerne il suo impegno in ambito educativo, il rabbino fu uno dei promotori del Collegio-Convitto Israelitico di Saluzzo. Esso costituì un esperimento, unico nel suo genere, di istituto, in cui allievi di fede cristiana cattolica ed ebraica studiavano sotto il medesimo tetto ed in cui era garantita pari libertà di culto ad entrambi i gruppi. Se, infatti, la parità di diritto recentemente acquisita garantiva ai giovani ebrei italiani l’accesso alle scuole pubbliche, i collegi nazionali non garantivano quelle misure necessarie perché gli studenti ebrei potessero osservare le prescrizioni religiose, come il Sabato e le norme alimentari, o perché vi ricevessero un’istruzione religiosa appropriata sotto la supervisione di un rabbino. Il Collegio-Convitto Israelitico di Saluzzo, dunque, rimediava a tale mancanza. Dal dettagliato programma conservato in archivio emerge il ruolo di Artom non solo nella promozione del Collegio, ma anche nella vita scolastica dell’istituto. In qualità di rabbino locale, egli svolgeva un ruolo direttivo nei confronti degli insegnanti ebrei, che contribuiva a selezionare. Inoltre, a lui era affidata la direzione spirituale dei giovani studenti ebrei e la supervisione dell’osservanza del culto all’interno dell’istituto. Da una lettera circolare del 26 settembre 1862 veniamo a sapere che Artom tentò di incrementare il proprio coinvolgimento nella vita del Collegio. Egli, infatti, decise di impartire personalmente le lezioni previste di lingua ebraica e di materie religiose; vi affermava, inoltre, che avrebbe garantito una presenza più assidua all’interno del Collegio per sovrintendere alla corretta osservanza del culto. L’ingerenza non incontrò il favore del Consiglio di Amministrazione, che sospese la pubblicazione della circolare.
Dai documenti emerge, dunque, una figura attiva nel proprio ruolo di guida spirituale della comunità, un rabbino non privo d’intraprendenza che profuse molte delle proprie energie a plasmare «quei giovani che formano le speranze d’Israello e della nostra carissima Patria», nella convinzione che essi costituissero l’ultimo baluardo contro l’indifferenza religiosa.

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