Comunità Ebraica di Torino. Versamento 2006


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Introduzione archivistica Di seguito si forniranno alcune informazioni relative alle condizioni del materiale oggetto di inventariazione e si illustreranno brevemente le scelte fatte nella schedatura e nell’organizzazione di detto materiale. Questa breve premessa è necessaria ai fini di una proficua consultazione sia dell’inventario sia in particolare della documentazione. Il versamento La documentazione, versata all’Archivio B. e A. Terracini nell’estate del 2006, era conservata in faldoni e scatole di legno o di cartone. I documenti, cartacei, si presentavano accorpati con un criterio misto: talora per “argomento”, talora per data, talora per “ente” produttore, talora per tipologia documentaria; in alcuni casi risultava invece impossibile scorgere un nesso fra le carte. Non era mai stato compiuto uno scarto. Inoltre, come si constata soprattutto ad un esame delle date croniche dei documenti, parte della documentazione era andata perduta e l’archivio è mutilo: causa principale delle menomazioni del materiale documentario fu il bombardamento che colpì i locali della comunità il 20 novembre 1942. Si rilevano tuttavia numerose lacune anche nella documentazione degli anni successivi al 1942, createsi man mano nel tempo, forse contestualmente all’utilizzo stesso dei documenti. Non esistono serie complete. Gli estremi cronologici della documentazione versata vanno dal 1836 al 1985, con poca documentazione dell’Ottocento e poca documentazione successiva al 1968 (pochissima successiva al 1975); numerose pratiche e fascicoli originali contenevano documenti di anni anche assai distanti fra loro. Alcune carte, in special modo veline con le minute dattiloscritte della corrispondenza inviata, sono in cattivo stato di conservazione (strappate, a tratti mutile e/o accartocciate): durante la schedatura e il riordino sono state, per quanto possibile, spianate. Sono state inoltre sostituiti tutti gli spilli e le vecchie graffette ormai ossidate con foglietti di carta ripiegati, che mantengono le originarie associazioni fra i documenti (spesso lettere con allegati o lettere scambiate fra due corrispondenti in relazione ad una stessa questione). Insieme all’archivio della comunità (fondo n. 1) erano anche conservate poche carte prodotte dall’attività di enti ebraici indipendenti per i quali sono stati creati dei fondi a sé stanti: il Centro giovanile ebraico (fondo n. 2), l’Organizzazione Sanitaria ebraica (fondo n. 3), la fondazione De Levy (fondo n. 4) e il Comitato di Assistenza per gli ebrei in Italia (fondo n. 5). Poco materiale era privo di attinenza con l’archivio storico della comunità torinese o trovava una miglior destinazione all’interno di altri fondi conservati presso l’Archivio Terracini e, dopo essere stato descritto, è stato escluso dall’inventariazione ed è stato consegnato ai responsabili dell’Archivio Terracini (la documentazione di Marco Tedeschi, rabbino di Asti (1836-1861), due nastri magnetici con canti della tradizione liturgica torinese, alcune fotografie scattate in occasione di cerimonie e festività e alcuni negativi). Intervento di schedatura e riordino Nella prima fase dell’intervento è stata effettuata una schedatura del materiale per mezzo del software della Regione Piemonte Guarini Archivi; la documentazione è stata analizzata a livello di documento e descritta a livello di fascicolo. Il numero provvisorio dell’unità archivistica, assegnato ai fascicoli durante la schedatura, è stato apposto a matita sulle camicie. Una volta schedata tutta la documentazione, la seconda fase è consistita nell’ordinamento concettuale del materiale (per mezzo della funzione “riordino” di Guarini Archivi): ciò ha consentito di affiancare visivamente (nella struttura “ad albero” proposta dal software) i fascicoli riferiti ad una stessa funzione o che contenevano documentazione omogenea dispersasi nel corso del tempo. Si è dunque proceduto ad accorpare fisicamente la documentazione che si presentava omogenea in modo inequivocabile e l’archivio ha virtualmente assunto la struttura proposta nello schema di ordinamento. Il numero provvisorio delle unità archivistiche è stato quindi affiancato dalla segnatura definitiva e, in un secondo tempo, da essa sostituito. Successivamente è stato redatto l’inventario; ad esso è premessa, oltre alla presente nota, una succinta introduzione sulla storia (giuridica soprattutto) della comunità di Torino negli anni interessati dalle carte. Tutti i subfondi, le serie, le sottoserie e le sotto-sottoserie sono inoltre preceduti da introduzioni specifiche. Si è infine proceduto con il riordino fisico delle carte che ha visto dapprima l’applicazione su ogni fascicolo o busta di etichette appositamente create, e, in un secondo momento, lo spostamento reale dei fascicoli in modo da riprodurre materialmente la sequenza definitiva prevista dallo schema di ordinamento. Anche i faldoni sono stati dotati di etichette con l’indicazione dei fascicoli contenuti. Nella lettura dell’inventario così come nella consultazione delle carte si deve tener conto, lo si è anticipato, di alcune premesse. 1. Si è già detto che l’archivio è a tratti (o meglio: per alcuni intervalli cronologici) fortemente mutilo. La mancanza di parte del materiale emerge a vari livelli e si percepisce chiaramente fin dalla lettura dello schema di ordinamento. Essa comporta, del resto, una serie di “danni collaterali”. In primo luogo disomogeneità di ricchezza e dimensioni fisiche dei fascicoli, che, pur contenendo teoricamente documentazione omogenea gli uni rispetto agli altri, conservano talora poche, talora molte carte (un esempio sono i fascicoli della corrispondenza). Non solo: le poche serie ancora individuabili non coprono mai un arco superiore ai 12 anni, fatta eccezione per le richieste di sussidio di ex deportatati o dei loro familiari, che sono testimoniate dal 1945 al 1965, con l’unica interruzione del 1962. 2. Il materiale conservato è assai di rado organizzato in quelle che potevano essere le pratiche originarie (nel senso più specifico del termine). Sia le vicende tumultuose della seconda guerra mondiale, sia i danni subiti al momento del bombardamento già menzionato, sia la maggior impellenza – nel periodo post bellico – di esigenze di altra natura, contribuirono ad un accumularsi confuso della documentazione: essa talora non sembra organizzata sistematicamente né disposta secondo le esigenze di un suo utilizzo reale, ma sembra esser stata semplicemente accatastata. Ciò tuttavia non significa che non si fossero conservati accorpamenti di carte che possiamo definire “originali”, ovvero che rispecchiano l’ultima fase di utilizzo della documentazione. I nessi fra queste carte non sempre sono chiaramente comprensibili, ciò che accade spesso con la documentazione archivistica (specialmente quella non recente, che non è stata prodotta in base ad uno schema di classificazione appositamente predisposto alla nascita o al consolidarsi dell’ente): si trovano riunite carte apparentemente non connesse, mentre carte omogenee sono conservate all’interno di fascicoli diversi. Il fenomeno si constata sia a livello di singole unità archivistiche sia a livello di serie. Ad esempio, il materiale relativo alle opere pie è giunto in parte distinto in base all’opera pia che l’aveva prodotto e in parte mescolato, sia con quello di altre opere pie sia con quello della comunità propriamente detta. Così, anche la corrispondenza era talora già organizzata per anni, talora per gruppi di anni (smembrati e ridistribuiti in sede di riordino. Esistevano, ad esempio, sia un fascicolo con la sola corrispondenza del 1955, sia un fascicolo con corrispondenza del 1954 e del 1955 insieme, conservati in due faldoni diversi e non contigui, i nn. 483 e 505). Esemplare è inoltre il caso della corrispondenza con l’Unione delle Comunità israelitiche italiane (U.C.I.I.): numerose lettere erano accorpate perché ricevute dall’U.C.I.I. e ad essa inviate (qualora si conservino le minute), molte altre erano tuttavia conservate all’interno dei fascicoli che raccolgono la corrispondenza generica – con diversi destinatari – suddivisa per anni. 3. Nei casi – non molto rari – in cui si conservano le camicie originali, con titoli attribuiti nel periodo o nei periodi di utilizzo delle carte, questi titoli “originali” sono stati registrati nella schedatura e la camicia originale è stata condizionata insieme alla documentazione, all’interno della nuova camicia. Nell’inventario compaiono, in caratteri di dimensioni inferiori, al di sotto dei titoli attribuiti. In fase di schedatura sono sempre stati assegnati nuovi titoli, sia per creare una certa omogeneità nella presentazione dell’inventario, sia perché, in molti casi, i titoli originali non rispecchiavano l’effettivo contenuto dell’unità archivistica. Dal momento che i titoli originali vengono fedelmente trascritti, essi presentano qua e là alcune inconsistenze grafiche rispetto al sistema adottato per la redazione dei testi (ad esempio le sigle che ricorrono senza punto fermo fra le iniziali che compongono gli acrostici, le date segnate con criteri diversi, le abbreviazioni non sciolte e così via). 4. Gli estremi cronologici segnalati nei titoli attribuiti compaiono al di fuori di parentesi se si tratta di un elemento caratterizzante dell’identità dell’unità archivistica, ovvero se fanno effettivamente parte del titolo come ad esempio nel caso delle cartelle delle imposte o in genere nel caso della documentazione accorpata abitualmente per anno o “esercizio” (nella contabilità); diversamente compaiono fra parentesi tonde. 5. I livelli all’interno dei quali è stato ordinato il materiale non sempre corrispondono a ciò che si può definire una funzione. Come anticipato, ciò dipende in primo luogo dall’organizzazione effettiva dell’ente: nella comunità – già di per sé scarsamente strutturata – le varie funzioni venivano via via a competere a diverse persone e ad intersecarsi le une con le altre nella realtà dell’amministrazione quotidiana. Si distinguono chiaramente le pratiche di contabilità o quelle strettamente connesse all’attività propria dell’ufficio rabbinico; vi sono tuttavia numerosi raggruppamenti che si sono formati semplicemente in base all’oggetto o alla tipologia documentaria. I raggruppamenti “per oggetto” dipendono anche, in qualche caso, dalle scelte degli schedatori: in mancanza di una strutturazione originaria per funzioni, e non volendo inserire troppa documentazione all’interno del subfondo “Varie”, si sono accorpati alcuni fascicoli per materia. Il caso più lampante è quello della serie “Persecuzioni razziali e deportazione”: benché la documentazione relativa alla deportazione non sia stata prodotta da un unico, apposito, ufficio, essa si presentava già isolata dal resto delle carte (all’interno di fascicoli originali), ed era abbondante e rilevante: si è pertanto deciso di metterla in luce creando un livello specifico. 6. È necessario accennare, seppur brevemente, anche ai criteri che sono stati scelti nella creazione degli indici dell’archivio. L’indicizzazione riveste particolare importanza in quanto consente di ovviare in parte al consueto problema della dispersione di materiale omogeneo all’interno dei diversi livelli, problema cui si accennava al paragrafo 2. L’indice dei nomi consente infatti di trovare traccia dell’attività di un individuo o di un ente anche nei casi in cui esso non sia menzionato esplicitamente nel titolo dell’unità archivistica o della serie e non sia, dunque, immediatamente rintracciabile consultando l’inventario. Gli indici di alcune unità archivistiche sono piuttosto lunghi (si vedano ad esempio quelli dei fascicoli di corrispondenza). Non sono stati ovviamente indicizzati tutti gli individui menzionati nelle carte, ma soltanto quelli con un ruolo ufficiale e con una certa rilevanza storica: si troveranno ad esempio i presidenti, i segretari, i rabbini della comunità di Torino e qualche personaggio noto anche al di fuori della comunità torinese (ad esempio Primo Levi o Benvenuto Terracini). Associazioni, istituzioni ed enti indicizzati sono assai più numerosi, ad iniziare da quelli direttamente dipendenti dalla comunità, quali le opere pie o la scuola media. I nomi sono indicizzati nell’ordine in cui compaiono nella documentazione, non vi sono principi gerarchici. 7. In parte connessa al tema dell’indicizzazione è la questione della grafia dei nomi propri. La trascrizione dei nomi è solo di rado problematica, dal momento che la documentazione è quasi completamente in italiano e dimostra una buona omogeneità nella resa dei nomi. Esiste tuttavia qualche caso in cui lo stesso nome (cognome per lo più) viene scritto diversamente all’interno di documenti diversi: nei casi in cui uno di questi nomi dovesse comparire all’interno della schedatura, lo si troverà sempre trascritto con la medesima grafia (scelta fra quelle attestate nella documentazione), indipendentemente dalla grafia che assume nelle carte che si stanno schedando. Altro problema collegato ai nomi, sia per quanto concerne l’indicizzazione sia per quanto concerne la descrizione del contenuto, è il mutare della dicitura di alcuni enti nel corso degli anni o la coesistenza di denominazioni differenti (ad esempio per alcune opere pie: l’esempio più lampante è quello dell’Ospizio Israelitico che divenne “Casa di riposo”). Gli enti, quale che sia il nuovo nome ad essi attribuito, verranno sempre indicati con il nome originario, affinché sia chiaro che si tratta sempre del medesimo ente e che la ricerca per mezzo degli indici risulti agevole. 8. Infine, rimanendo ai criteri scelti nella presentazione della documentazione, alla voce “consistenza” viene indicato il numero di fascicoli (o registri, rubriche ecc.) di cui è composta l’unità archivistica. 9. ESEMPIO DELLA SCHEDA DI UN’UNITA’ ARCHIVISTICA N Pratica raggruppamento opere pie (1873-1956) "Pratica raggruppamento delle opere pie israelitiche della Comunità israelitica di Torino" Ampia pratica contenente più sottofascicoli: verbali di raggruppamento, stilati per ciascuna opera pia, verbali di deliberazione, nuovo regolamento, relazioni di perizia, inventari dei beni, relazioni, documentazione e corrispondenza relative all'approvazione del raggruppamento da parte del consiglio comunale, al nuovo regolamento e così via. All'interno anche alcuni vecchi statuti: della Pia Società femminile (1938), della Fondazione Ottolenghi (1921), della Confraternita di Beneficenza (1873), e le "Norme sulla Comunità Israelitiche e sulla Unione delle comunità Medesime" (1930). fascicoli, 2, lingua Italiano 1873 aprile 02 - 1956 settembre 04 In alcune schede compaiono anche le note. Breve introduzione storica La giurisprudenza I lineamenti storico-giuridici che si esporranno nelle poche pagine che seguono vogliono introdurre e agevolare la consultazione delle carte dell’archivio storico della Comunità ebraica di Torino (“comunità israelitica” fino al 1989, quindi per tutto il periodo interessato dai documenti). Considerata la datazione della gran parte dei documenti, si faranno solo brevissimi accenni alla situazione ottocentesca e si insisterà maggiormente sull’organizzazione della comunità dagli anni Trenta del XX secolo fino agli anni Ottanta, ovvero nel periodo in cui era regolata dalla cosiddetta “Legge Falco”. Come si avrà modo di vedere, la normativa prevista dalla Legge Falco sarà parzialmente modificata da alcuni Congressi dell’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane (d’ora innanzi U.C.I.I.), segnatamente quelli del 1961 e del 1968; il decreto sarà tuttavia abrogato soltanto nel 1989, con la Legge 101 emanata sulla base dell’Intesa tra la Repubblica Italiana e l’U.C.I.I. stipulata il 27 febbraio 1987. Fra il dicembre 1798 e il gennaio 1799 i Francesi instaurarono un governo provvisorio nel Regno di Sardegna importandovi, tra le altre cose, il riconoscimento dei diritti civili e politici di tutti i cittadini indipendentemente dalla fede religiosa: questa svolta così importante per l’ebraismo subalpino viene generalmente definita “prima emancipazione”. Nel corso dell’Ottocento, fino allo Statuto albertino – la cosiddetta “seconda emancipazione” – le comunità (“università” fino al 1930) israelitiche italiane erano corporazioni di diritto pubblico organizzate secondo propri regolamenti e facevano capo a istituzioni chiamate “Concistori”. L’ordinamento in Concistori, specchio del sistema dipartimentale francese, era stato esteso a numerose regioni d’Italia da Napoleone; in particolare, in Piemonte e Liguria l’ordinamento concistoriale fu ufficialmente imposto con decreto imperiale dell’11 dicembre 1808. In ogni dipartimento veniva creato un Concistoro, composto da un gran rabbino, un rabbino e tre notabili di nomina elettiva. Tale ordinamento rimase ufficialmente in vigore fino alla Legge Rattazzi (nata, come si vedrà poco oltre, su progetto delle comunità piemontesi), ma in numerose regioni italiane successivi provvedimenti ne avevano già modificato i tratti più sgraditi. In particolare, nel 1815 venne costituita in Piemonte – in alternativa al sistema concistoriale – un’unica “Commissione israelitica” che provvedeva alle necessità degli ebrei piemontesi e ripartiva fra essi le spese; dalla Commissione dipendevano le quattro università maggiori di Torino, Casale, Alessandria e Nizza cui erano a loro volta soggette tutte le altre università. Al loro interno le “università israelitiche” erano rette da un anziano, un vice-anziano e da un Consiglio, nominati dall’intendente generale sulla base di liste proposte da una commissione della stessa università, eletta dai maggiori contribuenti; il Consiglio si rinnovava di un terzo ogni anno. Un decreto dell’Intendente generale dell’aprile 1816 stabilì che in tutte le città piemontesi dove esisteva una sinagoga si creasse un’amministrazione nominata dalla Commissione e soggetta alle sue direttive. L’esistenza di potenti organi sovracomunitari e di comunità “maggiori” dotate di una posizione di supremazia non era tuttavia apprezzata dalle comunità considerate “minori”; il vivace dibattito che portò alla nascita della Legge Rattazzi fu incentrato soprattutto su questo problema. Fonte di grande insoddisfazione era pure il sistema di tassazione e frequenti erano i ricorsi dei contribuenti, sia in relazione all’ammontare della tassa (non meno di 40 lire annue ), sia in relazione al domicilio. Soprattutto in seguito all’emancipazione del 1848 numerose voci si levarono perché si creasse un sistema più efficace e, soprattutto, equo nella ripartizione dei tributi. Il governo affidò dunque proprio all’università di Torino un progetto di regolamento economico-amministrativo per gli ebrei di tutto lo Stato. Con vicende alterne e numerosi dissidi si giunse infine, nel 1856, ad un accordo fra le comunità su come si dovesse intendere l’organizzazione comunitaria e sovracomunitaria; il progetto prevedeva la scomparsa sia di una direzione centrale (sostituita da un’Assemblea periodica generale dei delegati di tutte le comunità), sia della distinzione fra comunità maggiori e comunità minori. Su queste premesse fu emanata la Legge n. 2325 del 4 luglio 1857 (detta “Rattazzi” dal ministro che ne stilò il progetto), accompagnata da un regolamento “per l’amministrazione e contabilità delle università israelitiche” (n. 2326). Come anticipato, quasi tutto il materiale conservato nell’archivio storico fu prodotto quando la comunità torinese era già retta in base al decreto che nel 1930 abrogò la Rattazzi. Può essere tuttavia utile indicare sinteticamente i punti salienti della legge del 1857. La legge, che definiva le università israelitiche “corporazioni di diritto pubblico”, disponeva l’esistenza di un Consiglio eletto dai maschi maggiorenni, contribuenti e non analfabeti, e di un’Assemblea generale dei contribuenti cui spettava essenzialmente la nomina e la revoca del rabbino. All’art. 27 prevedeva inoltre la creazione, previa approvazione da parte del Ministero dell’Interno, di Consorzi che si occupassero di questioni di interesse comune alle varie comunità: G. Bachi definisce questo articolo l’“unico residuo delle proposte di centralizzazione […]”. La legge regolava inoltre i parametri di tassazione dei membri della comunità. Il ministro dell’Interno aveva facoltà di sciogliere i Consigli. Dal Piemonte la Legge Rattazzi fu man mano estesa ad altre regioni, benché non fosse apprezzata da tutto l’ebraismo italiano. Fra i vari motivi di insoddisfazione si riproponeva quello dell’imposizione del contributo e di come un ebreo potesse sottrarvisi (passando ad un’altra confessione o abbandonando semplicemente quella ebraica): la legge affermava semplicemente che ciascuna comunità comprendeva “tutte le famiglie e individui appartenenti al culto israelitico, domiciliati da oltre un anno nel Comune nel quale trovasi eretta”, senza indicare norme per l’iscrizione e cancellazione dei membri. Le comunità israelitiche presero allora ad organizzarsi indipendentemente dalla Rattazzi. Già in occasione del Congresso israelitico italiano del maggio 1863 (tenutosi a Ferrara) era stata ufficialmente messa all’ordine del giorno l’eventuale modifica di alcuni punti della legge Rattazzi. Se ne discusse anche in Parlamento. Sulla base di queste insoddisfazioni e con l’impulso dato dal riassetto generale dello Stato voluto dal fascismo nascerà nel 1930 la già menzionata “Legge Falco”. Con la legge del 1929 sull’esercizio dei culti ammessi (n. 1159, 24 giugno) il Governo si era dato “la facoltà di emanare le norme per l’attuazione della presente legge, e per il suo coordinamento con le altre leggi dello Stato, e di rivedere le norme legislative esistenti che disciplinano i culti acattolici” (art. 14). Sulla base di questa facoltà vennero appunto emanati il R.D. 1731 del 30 ottobre 1930 – Norme sulle Comunità israelitiche e sulla Unione delle Comunità medesime – e il relativo regolamento di attuazione, n. 1561, entrato in vigore il 19 dicembre 1931. Gli articoli più rilevanti in relazione alle carte dell’archivio storico della comunità torinese verranno esposti via via, nelle introduzioni delle serie e sottoserie in cui è organizzata la documentazione. Basti qui rilevare che la Legge Falco prevedeva – per l’organizzazione interna delle singole comunità – l’esistenza di un Consiglio (sez. I del capo secondo), una Giunta (sez. II), un presidente e un vicepresidente (sez. III) – abolendo l’Assemblea degli iscritti – e deliberava in merito alla gestione del patrimonio, della finanza e della contabilità (sez. IV). Trattava inoltre, al capo terzo, delle istituzioni amministrate dalla comunità e, al capo quarto, della direzione spirituale della comunità. Interessante in senso generale il capo primo, nel quale si deliberava della “costituzione della comunità”, affrontando questioni quali la definizione di “comunità israelitiche”, l’istituzione di nuove comunità e l’appartenenza dei singoli alle comunità. A questo proposito, G. Fubini afferma che “Le differenze più notevoli fra il nuovo regolamento […] ed il vecchio ordinamento sardo attengono alla irrilevanza della volontà degli interessati al fine della creazione di nuove comunità o soppressione di comunità esistenti, alla più rigorosa regolamentazione della iscrizione e cancellazione dei membri, alla minore rappresentatività dei Consigli ed alla concentrazione dei poteri direttivi, alla estensione dell’obbligo del contributo ed alle minori garanzie disposte per il contribuente, al maggior rigore del controllo governativo”. Agli art. 4 e 5 il decreto determinava chi fosse da ritenersi appartenente alla comunità: “Appartengono di diritto alla Comunità tutti gli israeliti che hanno residenza nel territorio di essa”. E “Cessa di far parte della Comunità chi passa ad un’altra religione o dichiara di non voler più essere considerato israelita agli effetti del presente decreto. Tale dichiarazione dev’essere fatta al presidente della comunità o al rabbino capo, di persona o con atto in forma autentica. Colui che cessa di far parte della Comunità ai sensi del primo comma perde il diritto di valersi delle istituzioni israelitiche di qualsiasi Comunità; in particolar modo perde il diritto a prestazioni di atti rituali ed alla sepoltura nei cimiteri israelitici”. Particolarmente rilevante, come si vedrà anche nell’introduzione alla sottoserie dei contributi, il cambiamento nel sistema di tassazione degli iscritti: con il decreto del 1930 il principio di contribuzione sarà basato sul reddito complessivo – di patrimonio e reddito lavorativo – e non più soltanto su quello patrimoniale, come aveva invece decretato la Legge Rattazzi. La nuova legge regolava dunque dettagliatamente lo statuto interno dell’ebraismo italiano, con ingerenze rilevanti nell’attività delle comunità (si moltiplicavano i controlli e le autorizzazioni statali necessarie). Benché tale normativa venisse accolta complessivamente in modo positivo dagli ebrei d’Italia, essa aveva già in seno numerosi elementi che consentirono in seguito l’affermazione della politica discriminante e persecutoria attuata dal regime fascista. Anche il nuovo codice penale (1930) conteneva del resto elementi discriminatori tra religione cattolica e altri culti. Come anticipato, la Legge Falco – nonostante giuridicamente si reggesse su alcuni principi manifestamente anticostituzionali – regolò ufficialmente l’organizzazione interna delle comunità ebraiche italiane fino al 1989, quando fu abrogata da un altro provvedimento. Nel corso degli anni subì tuttavia alcune, rilevanti, modifiche. Fra le questioni nodali, le norme sull’elettorato – passivo e attivo – del Consiglio. Con la prima mozione del VI Congresso dell’U.C.I.I. (Roma, aprile-maggio 1961) “Il Congresso esprime il voto che in attuazione dei princìpi di parità sanciti dalla costituzione, le singole comunità, in materia di elezioni, si attengano nella interpretazione della legge, alle singole direttive: (1) Iscrizione nelle liste dei contribuenti e nelle liste elettorali di tutti gli ebrei maggiorenni senza distinzione di sesso, di censo o stato civile; (2) Estensione alle donne dell’elettorato passivo; (3) Elezioni generali del consiglio ogni sei anni, fermi restando i rinnovi biennali parziali”. Il dibattito continuò su questa linea e nel Congresso straordinario delle comunità israelitiche del 28 aprile 1968 furono adottate nuove norme precettive, che riguardavano vari aspetti dell’amministrazione comunitaria, dalle elezioni (istituzione del suffragio universale), alla tassazione (introduzione del principio di progressività ), agli organi amministrativi (istituzione dell’Assemblea della comunità; introduzione del principio di rappresentanza delle minoranze nel Consiglio delle comunità con più di tre consiglieri; riduzione della durata in carica dei Consigli delle comunità e dell’U.C.I.I.; limitazione delle competenze della Giunta; istituzione dell’Assemblea rabbinica, che comprende i rabbini di tutta Italia), per citare soltanto le principali. Altre modifiche della legge 1731 del 1930, di ordine più generale e non direttamente legate all’amministrazione interna delle comunità, si affermarono per mezzo di sentenze (che interessavano per altro tutte le confessioni minoritarie): con la sentenza 45/1957 cadde l’obbligo di preavviso per le funzioni religiose o cerimonie in luoghi aperti al pubblico, con la sentenza 59/1958 vennero dichiarate incostituzionali due norme del R.D. 289 del 1930 che prevedevano un’autorizzazione per l’apertura di templi e oratori e la necessità – per svolgere qualsiasi pratica religiosa – della presenza di un ministro di culto approvato dallo Stato. L’esigenza di una nuova, organica, normativa che regolamentasse sia i rapporti degli ebrei italiani con lo Stato sia l’organizzazione interna delle comunità e dell’U.C.I.I. porterà nel 1987 all’Intesa tra la Repubblica italiana e l’Unione e all’adozione di uno Statuto dell’ebraismo italiano, e, l’8 marzo 1989, all’emanazione della legge 101 con le “norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l’Unione delle Comunità ebraiche italiane” (erede dell’U.C.I.I.). L’attività della comunità attraverso le carte sopravvissute La comunità ebraica gestiva varie attività, legate alla propria amministrazione interna e all’amministrazione di enti da essa più o meno ufficialmente dipendenti. Come è stato già messo in luce nell’introduzione archivistica, l’archivio storico della comunità torinese è evidentemente mutilo; ciò nonostante l’attività di schedatura e riordino ha consentito di recuperare tracce – più o meno consistenti – di quasi tutte le attività svolte dalla comunità. Lo schema di ordinamento e le introduzioni alle serie e sottoserie descrivono le varie facce di un ente impegnato su più fronti: l’amministrazione interna e i contatti con gli iscritti, la gestione degli enti dipendenti, i rapporti con le altre istituzioni e associazioni ebraiche, i rapporti con le istituzioni non ebraiche, i rapporti con lo Stato. Le carte coprono un arco cronologico relativamente breve, considerata la lunga storia della comunità (1836-1985 ): i documenti ottocenteschi e dei primi decenni del XX secolo sono pochissimi, mentre il materiale diventa più consistente a partire dagli anni Quaranta. Il lavoro dei segretari, dei presidenti e delle altre figure che gestirono la comunità durante il periodo interessato dalle carte emerge sia direttamente nei documenti prodotti dai vari “uffici”, sia, indirettamente (per mezzo degli indici), anche nelle carte in apparenza non connesse con le diverse funzioni. Gli stessi indici consentono di apprezzare, trasversalmente al titolario e all’inventario, la ramificazione e il profondo e indissolubile intreccio che legava tutti gli organi comunitari e tutto il personale coinvolto, in varia misura e con vari compiti, nella gestione dell’ente. Le carte documentano l’attività di quattro presidenti della comunità: Eugenio Norzi (1945-1950), Enrico Malvano (1950-1959), Ugo Levi (1959-1960) e Sion Segre Amar (dal 1960. Nella corrispondenza più antica è menzionato anche Alessando Malvano). Quanto ai segretari, l’archivio è permeato della presenza di Moise Foa prima, Davide Momigliano poi (ed è saltuariamente menzionato anche Luciano Castelletti). Infine, l’attività dell’ufficio rabbinico torinese si identifica sostanzialmente con la figura di Dario Disegni, che fu rabbino dal 1935 fino al 1960 (i documenti più recenti riguardano invece Sergio Sierra). Altri personaggi più o meno rilevanti per la storia della comunità torinese emergono dalle carte dell’archivio e sono menzionati nella schedatura. Allo stesso modo, come si potrà constatare negli indici, si è tentato di mettere in luce le varie associazioni e gli enti che operavano in seno alla comunità o che con essa avevano rapporti significativi.
Soggetti Produttori
Descrizione Estrinseca
5 fondo, 8 subfondo, 37 serie, 87 sottoserie, 53 sotto-sottoserie, 754 UA
Storia conservazione
L'Archivio della Comunità ebraica di Torino è stato versato all'Archivio B. e A. Terracini nell'estate del 2006, conservato in cartelle e scatole di legno. I documenti si presentavano accorpati con un criterio misto: talora per "argomento", talora per data, talora per "ente" produttore, talora per tipologia documentaria, in alcuni casi risultava invece impossibile scorgere un nesso fra le carte. Non era mai stato compiuto uno scarto. Inoltre, come si constata soprattutto ad un esame degli estremi cronologici degli atti, parte della documentazione era andata perduta e l'archivio è mutilo: causa principale delle menomazioni del materiale documentario fu il bombardamento che colpì i locali della comunità il 20 novembre 1942. Si rilevano tuttavia numerose lacune anche nella documentazione degli anni successivi al 1942, createsi man mano nel tempo, forse contestualmente all'utilizzo stesso dei documenti. Non esistono serie complete. Gli estremi cronologici della documentazione versata vanno dal 1836 al 1985, con poca documentazione dell'Ottocento e poca documentazione successiva al 1968 (pochissima successiva al 1975); numerose pratiche e fascicoli originali contenevano documenti di anni anche assai distanti fra loro. Insieme all'archivio della comunità erano anche conservate poche carte prodotte dall'attività di enti ebraici indipendenti per i quali sono stati creati dei fondi a sé stanti: il Centro giovanile ebraico, l'Organizzazione Sanitaria ebraica, la Fondazione De Levy e il Comitato di Assistenza per gli ebrei in Italia Per il riordinamento, l'inventariazione è stato utilizzato il software elaborato dalla Regione Piemonte Guarini Archivi .
La Soprintendenza Archivistica per il Piemonte ha diretto l'intervento di recupero e il riordinamento, approvandone i risultati.

Per la storia del soggetto produttore e per i criteri di ordinamento del fondo si rinvia a CHIARA PILOCANE E LUISA SACERDOTE, Comunità ebraica di Torino - Inventario , conservato presso l'Archivio A&B Terracini.

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