5 novembre 1866. Lettera: il declino dell’osservanza religiosa

Percorso: Rabbino Davide Terracini

Dati:
mittente: Davide Terracini
destinatario: Giuseppe R. Levi, Rabbino Maggiore di Vercelli
oggetto: riflessioni sulla trasgressione del precetto relativo alla scrittura durante il Sabato ed i giorni di festa

La lettera è datata 5 novembre 1866 ed è redatta all’interno di un piccolo quaderno.
Dopo aver affermato ripetutamente come un Concilio rabbinico sia necessario per trovare una soluzione comune al crescente abbandono della religione dei padri da parte dei fedeli, Terracini ci fornisce un quadro più dettagliato di tale crisi di fede. L’occasione è fornita da Levi stesso, che chiede il parere di Terracini sulla questione della scrittura durante il Sabato ed i giorni di festa. La Legge ebraica regolava ogni tipo di attività da compiersi durante il Sabato o nei giorni di festa e la scrittura non costituiva eccezione. In seguito all’Emancipazione, gli ebrei avevano diritto di accedere alle scuole pubbliche, dove, com’è ovvio, da un lato la scrittura è attività primaria nel processo di apprendimento, dall’altro l’applicazione delle prescrizioni sabbatiche risultava quantomeno problematica, se non impossibile; esse non erano, infatti, riconosciute dalla legge del Regno e la loro applicazione avrebbe creato una difformità tra studenti ebrei e non ebrei in aperto contrasto con lo spirito egualitario del provvedimento emancipatorio. Tutto ciò aveva condotto ad un rapido declino nell’osservanza di tali norme.
Terracini risponde a Levi con il consueto acume. Due sono i fattori che rendono vano auspicare una soluzione al problema. Da un lato, lo Stato non può concedere privilegi agli ebrei, perché ciò costituirebbe una deroga al principio costituzionale di separazione tra sfera pubblica e privata, cui pertiene la libertà di coscienza; si troverebbe peraltro in imbarazzo nei riguardi delle altre confessioni, particolarmente la cattolica. Dall’altro l’alto grado di trasgressione del precetto, ormai trascurato dai più sia adulti sia giovani, traviati dal cattivo esempio dei genitori. Perfino nelle scuole ebraiche locali alcuni insegnanti minacciavano gli alunni di bocciatura, qualora si rifiutassero di scrivere di Sabato! Traspare dalle parole di Terracini un senso di mesta rassegnazione e di nostalgia per un passato in cui le comunità godevano di privilegi che, non senza una certa ironia, l’Emancipazione stessa aveva eliminato. Ciò è ben evidente, quando il rabbino astigiano afferma che i suoi colleghi del Veneto, di recente annessione, «dividere con noi lo stesso dolore».

Che la situazione fosse critica agli occhi di Terracini lo dimostra la sua allusione alle altre trasgressioni non enumerate non solo alla Torà orale (Mishnà e Talmud), ma alla scritta (Torà). Perfino la circoncisione, finora saldamente praticata dai più, non è in futuro al riparo dal pericolo dell’abbandono per la crescente rarità di mohalim (professionisti che officiavano la circoncisione). A chi obietta che occorre esortare i fedeli dal pulpito all’osservanza dei precetti e promuovere l’istruzione religiosa, l’autore ribatte che le prediche non sono più ascoltate e le scuole ebraiche possono ben poco, se i genitori cedono alla «smania» di mandare i propri figli alle scuole pubbliche e non offrono loro il buon esempio a casa.

La questione del divieto di scrivere di Sabato e nei giorni di festa sarebbe riemersa in occasione delle elezioni politiche del 1880 con un esito non privo d’interesse.

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