3 giugno 1867. Lettera: un programma preliminare per il Concilio rabbinico

Percorso: Rabbino Davide Terracini

Dati:
mittente: Davide Terracini
destinatario: Giuseppe R. Levi, Rabbino Maggiore di Vercelli
oggetto: Terracini invia a Levi una bozza di programma per il Concilio; delinea le modalità secondo cui deve aver luogo e gli obiettivi

La minuta occupa ben nove pagine del piccolo quaderno contenente buona parte delle lettere del 1867. È datata 3 giugno 1867. Nella quinta pagina la riga di testo che corre lungo il margine sinistro costituisce la continuazione della quintultima riga. Nella sesta pagina le righe sul margine sinistro proseguono la decima riga.
Le critiche alle posizioni di Terracini sull’opportunità di introdurre modifiche nel culto non accennano a placarsi. I suoi oppositori lo accusano di voler demolire il sacro edificio del culto. Ancora una volta il Rabbino Maggiore di Asti professa l’ortodossia dei propri intenti. «Illuminati conservatori» chiama coloro che condividono le sue vedute; ciò è in linea con il rigetto dell’idea di riforma in favore di un ritorno alla semplicità e all’eleganza della Legge scritta e orale (Torà, Mishnà e Talmud). Eppure, il declino nell’osservanza di precetti tutt’altro che accessori è sempre più evidente: solo un’intervento collettivo può porvi rimedio, a nulla possono valere azioni autonome di singoli rabbini. L’assemblea rabbinica deve condannare senza riserve le violazioni, uscire dal «silenzio ora generalmente tenuto, che non ha nessuna eloquenza». Tuttavia, non può fermarsi a ciò; deve seguire un piano d’azione graduale discusso dal Rabbinato e frutto di comune sforzo, che agisca sul complesso di norme che regolano il culto, eliminando le prescrizioni non considerate immutabili, ma di natura – almeno alle origini – temporanea e locale, che nel corso del tempo sono state adottate anche altrove. Terracini pone alcuni interessanti quesiti: se tali norme non erano parte della Torà scritta né di quella orale, perché dovrebbero rimanervi? Se i Saggi, che non le inserirono, non furono considerati scismatici, perché avrebbero dovuto esserlo coloro che volevano eliminarle in epoca moderna? Se alcuni non ritenessero legittimo l’intervento del Concilio sui precetti non inclusi nella Torà orale, potrebbe realmente trattarsi di scisma? Con queste argomentazioni Terracini cercava di placare i timori dei suoi oppositori, con scarso successo, per la verità. Sottolinea, inoltre, un paradosso tutto italiano, quando afferma «che se il vario colorito o la varia gradazione nelle pratiche del culto, quanto a qualità o modalità, si reputa scisma, io dico che lo siamo già fin d’ora dovunque in troppo grandi proporzioni fra gli stessi conservatori.»
Obiettivo primario del Concilio non è, dunque, demolire la tradizione cedendo alle «pretensioni esagerate ed insaziabili di coloro che d’Israeliti non hanno più che il nome» o seguendo le «teorie antimosaiche dei sé dicenti razionalisti»; esso deve riportare l’Ebraismo italiano in linea con il «volere dei tempi», adattarlo alle necessità sorte in un’epoca di profondi mutamenti sociali innescati dall’emancipazione. Le circostanze rendono necessarie «restaurazioni religiose […] coll’apparenza inquietante di violazioni”, circostanze che spinsero saggi di ogni tempo a creare quelle stesse norme che ora è opportuno eliminare. Portando sul medesimo piano i “riformatori”, tra cui si annovera lui stesso, e i Saggi, le cui norme i conservatori difendono gelosamente, poiché mossi dal medesimo intento, Terracini legittima l’operato proprio e dei suoi colleghi.
Desta un certo interesse la reticenza che il rabbino astigiano mostra, quando Levi gli chiede quali aspetti del culto ritiene che necessitino un intervento. Terracini ribadisce che questo è proprio il tipo di quesito cui il Concilio è chiamato a rispondere e che egli stesso esprimerà le proprie considerazioni in tale sede. È ragionevole supporre che Terracini non voglia scoprire le proprie carte prima che il Concilio sia stato indetto, temendo di creare ulteriori contrasti e dissidi su quello che non a caso definisce un «dilicato terreno», che inducano i rabbini a rifiutare il loro appoggio alla riunione, impedendo così che essa abbia luogo.

Nel corso di questa lettera l’autore invita formalmente Levi a partecipare ad una riunione preliminare ristretta ai soli rabbini favorevoli al Concilio. Tale assemblea dovrebbe discutere i punti del programma riportato dopo il testo della minuta:

    1. Se debbasi prendere alla lettera ed adottare sempre e comunque la massima teologica: “Niun tribunale ha facoltà di abrogare le deliberazioni d’un altro senza esserne superiore in merito dottrinale ed in numero”.
    2. In quale numero personale si debba reputar competente un Bet-dìn בית דין .
    3. Definizione di tale competenza in rapporto alla materia ed alla località.
    4. Se e dentro quai limiti sia utile modificare il culto religioso.
    5. Se sia opportuna questa modificazione.
    6. Stabilire il metodo e le categorie delle materie da modificarsi.
    7. Se e con qual procedura debbansi mano mano le progettate modificazioni rivestire eziandìo della sanzione laicale.

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