22 ottobre 1890. Lettera: sul declino dell’autorità rabbinica

Percorso: Rabbino Marco Momigliano

Dati:
mittente: Marco Momigliano
destinatario: Davide Terracini
oggetto: Momigliano lamenta il declino dell’autorità rabbinica e la secolarizzazione diffusa

La minuta è contenuta all’interno del copialettere di Momigliano (carte 71-72). Reca la data 22 ottobre 1880.
A dieci anni dalla controversia sul minyan Momigliano torna a scrivere a Davide Terracini. La rivalità ha lasciato il posto ad un tono amichevole. Momigliano riflette ora su un tema caro a Terracini: il declino di prestigio dell’autorità rabbinica in una società ormai quasi completamente secolarizzata. Diversamente dal rabbino astigiano, che ne identificava la causa nell’isolamento dei rabbini italiani, Momigliano vi scorge il frutto delle riforme:

La S. V. converrà meco che la nostra carriera è diventata più che mai spinosa. Il Rabbino oggi ha perduto tutta l’autorità che godeva negli anni passati in cui la sua parola era stimata e rispettata, in oggi non si ha che il dolore di dover assistere a mille profanazioni. Questo è il frutto delle riforme le quali secondo il mio parere espresso più volte non fanno che disgustare gli ortodossi senza nulla ottenere dagli eterodossi. Di questa mia opinione ne veggo la conferma, perciò mi tenni sempre restio dalle riforme.

Naturalmente, non è il destino ultimo della religione dei padri ad angustiare il rabbino di Bologna, la sua dissoluzione; «ciò che è spaventevole» è «il pensiero di ciò che diverrà il Giudaismo Italiano camminando di questo passo». Subito dopo Momigliano tocca un punto su cui si era soffermato anni addietro lo stesso Terracini in una lettera a Giuseppe R. Levi, Rabbino Maggiore di Vercelli, del 5 novembre 1866:

Siamo arrivati al punto che in Francia fece stupore che in Italia siano già così frequenti i casi להפר את ברית אברהם [lehafer ’et berit ’Avraham: infrangere il patto di Abramo, ovvero i casi di mancata circoncisione]. È veramente doloroso un tale decadimento in così breve tempo.

Tuttavia, per Terracini allora la preoccupazione risiedeva nella mancanza di mohalim (i professionisti che officiavano la circoncisione), certamente non nella scelta consapevole dei suoi correligionari di assimilarsi ai non-ebrei, cui sembra alludere Momigliano. La rapidità deplorata dal rabbino di Bologna fa eco a quanto Terracini afferma nella lettera del 1865 citata poco sopra:

[…] nel campo religioso si è più disfatto in tre lustri da noi, che non in dodici in Francia ed altrove.

Ciò che sorprende alla fine della lettera è la nota di rimpianto che Momigliano comunica a Terracini sul Concilio rabbinico:

Il congresso Rabbinico che tanto si discusse di adottare un accordo nelle riforme, sarebbe ora invece molto necessario per studiare il modo di frapporre un argine alla corrente della miscredenza.

Un’autentica inversione di rotta, seppur parziale. Emerge l’incomprensione di fondo tra i due rabbini: Momigliano non si rese conto che l’obiettivo di Terracini era stato proprio quello di creare quell’«argine», attraverso ciò che egli non definiva riforma, ma un ritorno all’antica semplicità del culto liberato di quelle concrezioni, che lo rendevano ormai inadeguato alle comunità italiane emancipate.