Il riconoscimento giuridico

Un passo necessario per la Fondazione era il riconoscimento giuridico da parte del Ministero dell’Interno (Direzione Generale dei Culti). Ed esso era legata l’accettazione dell’eredità del marchese.

La pratica, oltre che dagli organi statali preposti, il Ministero stesso e la Prefettura di Torino (Divisione Opere Pie), dovette passare attraverso l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane: la lettera che il presidente Disegni aveva mandato alla Direzione Generale dei Culti fu da questa trasmessa all’Unione per conoscenza e perché l’Unione stessa avanzasse eventuali osservazioni; il 3 settembre 1948 Raffaele Cantoni, allora presidente dell’Unione, comunicava l’arrivo della lettera a Disegni e gli diceva:

«Prima di dare evasione a quanto contenuto nella suindicata desidero scambiare con Lei le mie vedute affinché si abbia a non intralciare in alcun modo il disbrigo della formulata richiesta…».

Da un lato l’Unione voleva avere parte attiva nel processo di istituzione della Fondazione e avere un peso nell’attività che questa avrebbe svolto, d’altro lato, avendo sede a Roma, era organo con cui più immediatamente e abitualmente il Ministero interloquiva.

Le trattative iniziarono appena dopo la redazione del primo statuto e si protrassero per circa quattro anni.

L’abbondante quantità di lettere scambiate fra i molti soggetti coinvolti nel processo di riconoscimento giuridico bene testimonia le difficoltà che i consiglieri ebbero nell’ottenere il riconoscimento: fors’anche in parte a causa della mediazione dell’Unione, che faceva insieme valere delle pretese sulla configurazione che la Fondazione avrebbe dovuto avere, il processo fu lungo e non privo di contrasti. Già nel corso del 1948 molte minute attestano la documentazione man mano inviata: ad esempio, nell’ottobre 1948 si rimandavano statuto e inventario insieme ad un certificato dell’Ufficio Ipoteche di Susa. Dello stesso anno è la questione dell’allargamento del Consiglio di Amministrazione a membri eletti dalla Comunità di Torino e dall’Unione stessa, questione che causò ulteriore rallentamento nell’evasione della pratica.

Negli anni seguenti il Ministero, direttamente, tramite l’Unione e la Prefettura, chiese più volte rettifiche ai documenti prodotti.

Alla fine del 1950 lo stallo in cui si trovava la pratica e la conseguente impossibilità da parte della Fondazione di accettare formalmente l’eredità rischiava di compromettere l’attività. In una lettera del 4 settembre il consigliere Giuseppe Ottolenghi ammoniva Moise Foa: «o il Consiglio decide di sospendere ogni attività sino al riconoscimento giuridico (ed io non sarei affatto d’accordo), o è necessario che il Consiglio stesso si riunisca al più presto per tracciare un, sia pur limitato, programma…».

Al 13 novembre dello stesso anno si data una lettera della Prefettura di Torino con la quale si comunicavano al presidente le più recenti richieste del Ministero: quatto esemplari dello schema del solo Statuto, di cui uno interamente manoscritto, munito di data e con le firme originali, una correzione all’art.3, delibera del Consiglio di amministrazione riguardante l’approvazione dello Statuto nello schema definitivo, la richiesta di riconoscimento e l’accettazione dell’eredità, un’analitica situazione patrimoniale, un certificato di domicilio in Italia del presidente.

La questione, ormai annosa, non era ancora risolta nel maggio 1951, quando il consigliere Moise Foa scriveva a Roma all’avvocato della Seta, segretario dell’Unione, lamentando che i fondi a disposizione per l’attività statutaria erano bloccati e che quelli dell’anno precedente erano quasi del tutto esauriti. Chiedeva dunque a Della Seta di sollecitare la Direzione generale dei Culti, essendo già a disposizione il «favorevole parere del Consiglio di Stato». Manca in Archivio e a mani degli attuali consiglieri un esemplare del decreto, ma una nota manoscritta su una copia dello statuto recita «Approvato con DPR 9-10-1951 n. 1737».

I nuovi consiglieri

I nuovi consiglieri

Alla morte di De Levy il Consiglio designato era composto dal rabbino capo Dario Disegni, presidente, e da Moise Foa e Achille Rimini.

L’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, come visto, volle avere un peso nell’istituzione della Fondazione, così da incidere poi anche sulla sua attività. Oltre alla supervisione cui sottopose statuto e inventario e al ruolo di mediazione con il Ministero avuto nella complessa pratica del riconoscimento giuridico dell’ente, l’Unione riteneva giusto essere presente nel Consiglio di Amministrazione e chiedeva così l’allargamento del Consiglio con l’aggiunta di membri nominati dalla Comunità torinese e dall’Unione stessa.

La questione fu oggetto di divergenze, come attestato da alcune lettere del 1948. In una di queste, datata 2 novembre, il segretario dell’Unione scriveva a Disegni:

«…La Unione pertanto non può condividere il punto di vista contenuto nell’ultimo capoverso di cui alla succitata sua e formula la richiesta di modificazione egli art. 8 e 9 nel modo seguente:

“art. 8 – La fondazione è amministrata da un Consiglio di amministrazione composto da un Presidente e quattro consiglieri
art. 9 – Presidente della fondazione è il Rabbino capo pro-tempore della C.I. di Torino ed i quattro consiglieri verranno nominati; due dal Consiglio dell’U.C.I.I. E due dal Consiglio della C.I. Di Torino. I consiglieri durano in carica vita natural durante, salvo i casi previsti dall’art. 25 c.c.

In ottemperanza alle volontà del testatore, vengono nominati Presidente il Dr. Dario Di Segni … I due altri consiglieri verranno nominati rispettivamente uno dal Consiglio dell’U.C.I.I. E l’altro dal Consiglio della C.I. Di Torino”. Siamo certi che si terrà conto di quanto ora precisato, anche in funzione delle esperienze che la vita ebraica di questi ultimi decenni ha insegnato (vedi vicende della IGA del Barone Hirsch) e che si vorrà riesaminare il testo …».

Alla fine del mese, Disegni rispondeva in questi termini:

«… ho tardato a riscontrare la preg. sua del 2 corr. poiché ritenevo di poter conferire con V.S. Preg.ma che speravo incontrare a Roma ove mi sono recato il 10 corr. Od a Torino in occasione del Suo passaggio. In merito alla modifica degli art. 8 e 9 dello Statuto della Fondazione sono dolente di doverla informare che il nostro Consiglio di Amministrazione, in conformità al parere espresso dallo Spett. Ministero all’uopo interpellato, non ritiene di poter accedere alla richiesta fatta da codesta Spett. Unione, quale è stata formulata, poiché in tal modo sarebbe completamente svisata la volontà espressa dal fondatore nel suo testamento.

Con la nomina di un consiglio della Fondazione formato da 5 consiglieri, di cui 2 eletti dal Consiglio della Comunità …. le direttive dell’autorità rabbinica potrebbero certamente non ora, ma col mutar del tempo e degli uomini, essere poste completamente in disparte poiché il Rabbino presidente si troverebbe in situazione di minoranza, qualora in disaccordo con gli altri 4 componenti elettivi. … Non va dimenticato che il fondatore nella prima designazione dei consiglieri aveva nominato 2 rabbini (uno di essi fu sostituito soltanto perché allontanatosi dall’Italia e poi deceduto) per porre in rilievo quali fossero le intenzioni del testatore. D’altra parte si fa anche notare che il rabbino Capo della Comunità può già considerarsi un rappresentante della Comunità stessa in quanto designato dal Consiglio di amministrazione e confermato dall’Unione. Infine si rileva che il compito dell’Unione è quello di vigilare sul funzionamento delle istituzioni che hanno una propria amministrazione e non di sostituirsi all’amministrazione medesima. E tale compito, cui per legge è preposta la Giunta dell’Unione, noi saremo ben lieti di facilitare … accettando che un rappresentante dell’Unione prenda parte alle riunioni del Consiglio in veste di osservatore o di revisore dei conti (ad abundantiam) dato che questa ultima funzione è già esercitata dall’Autorità Tutoria».

L’Archivio conserva alcune altre lettere di questo tenore; all’inizio dell’anno successivo si arrivò infine ad un compromesso che prevedeva l’ingresso nel Consiglio di due nuovi membri, uno indicato dalla Comunità di Torino e uno indicato dall’Unione stessa.

In una lettera che il presidente della Comunità torinese, Eugenio Norzi, inviava a Disegni il 15 febbraio 1949 leggiamo che il consigliere dalla Comunità era stato individuato nella persona dell’avvocato Bruno Artom.

Allo stesso Artom, che chiedeva notizie dell’attività della Fondazione, Disegni doveva rispondere il 13 maggio 1949 che non si aveva ancora il nome del consigliere scelto dall’Unione:

«In pronta risposta alla preg. Sua di ieri, mi pregio informarLa che l’Unione, nonostante le nostre ripetute sollecitazioni, non è ancora addivenuto alla nomina del suo rappresentante presso il Consiglio di questa Fondazione. Siccome la pratica di riconoscimento giuridico non può aver corso senza la predetta nomina, il Consiglio nuovo non può essere convocato secondo la riforma dello statuto che colla presenza di tutti i nuovi eletti per la firma delle copie del nuovo Statuto che si presenta all’approvazione del Ministero.

Questa è la ragione per cui Ella non è stata convocata, continuando per ora l’amministrazione della Fondazione eletta dal Testatore secondo le modalità precedenti».

Il consigliere in rappresentanza dell’Unione fu finalmente scelto nella persona dell’avvocato Giuseppe Ottolenghi di Milano, come si comunicava a Disegni in una lettera datata 18 maggio 1949.