Il Marchese Cav. Guglielmo De Levy

Il marchese Guglielmo De Levy, più precisamente De Levy dei Von Hirsch, come talora si firmava, nacque a Bonn il 21 maggio 1861 da Abraham Levi e Paolina Hirsch, sorella di quel Maurizio fondatore della Jewish Colonization Association.

De Levy lasciò la Germania «costretto dalle circostanze avverse e soprattutto da ragioni di salute» e trascorse gran parte della sua vita fra Svizzera e Italia; qui fu a Napoli, sulla Riviera ligure, dove possedeva un appartamento ad Arma di Taggia, e in Val di Susa, nel suo alloggio di Salbertrand. Non risiedette mai a Torino.

Nel luglio 1940 fece testamento e, indottovi, tra le altre cose, dal crescente antisemitismo che pervadeva ormai l’Europa e l’Italia, stabilì di devolvere l’intero suo patrimonio all’istituzione di un ente che avesse lo scopo di combattere l’antisemitismo e diffondere la conoscenza della cultura e della storia ebraica. Designò come esecutori testamentari il rabbino Dario Disegni, il rabbino Castelbolognesi di Milano ed Ettore Ovazza. A seguito della morte di Ovazza fu scelto come suo sostituto l’avvocato Moise Foa.
«Dopo la liberazione riprese subito contatto con l’ambiente ebraico e in particolare con coloro che egli aveva designato, fin dal 1940, come esecutori delle sue ultime volontà … In numerosi colloqui e lettere cercò di precisare meglio il suo pensiero sugli scopi dell’istituenda Fondazione ed i mezzi per attuarli».

Nel novembre 1945 all’atto di redazione di un codicillo pubblico al suo testamento, il marchese risiedeva ancora a Susa, ma vediamo da una lettera datata pochi giorni dopo che Dario Disegni, come esecutore testamentario, si era preoccupato di impiegare parte del patrimonio per alloggiare De Levy in un istituto di San Maurizio Canavese, villa Bertalazona. Qui morì il 13 gennaio 1947.

Come da suo desiderio, i funerali si tennero al Cimitero ebraico di Torino e Dario Disegni lesse un discorso commemorativo.

Il Marchese fu commemorato nel primo e nel secondo anniversario della morte, con due cerimonie. Nel 1949 fu anche stampato un libretto con una sua brevissima biografia e una dissertazione del professor Rimini sull’antisemitismo.

Il testamento

Le disposizioni testamentarie del marchese risalgono al 4 luglio 1940. In archivio se ne conserva una copia dattiloscritta, dove si legge che l’atto era stato sottoscritto nell’ufficio dell’avvocato Ovazza, in piazza Carlina; gli esecutori testamentari erano lo stesso Ovazza, il rabbino capo Dario Disegni e Achille Rimini.

Il marchese, desideroso di lasciare tutto «a beneficio della nostra religione e nel nome di Israele», deliberò in questi termini: «Tutto quanto possiego in Italia e all’estero mobili e immobile [sic] titoli valori, oggetti, denaro etc. nulla esclusa nei [sic] eccettuato lascio ad un [sic] Istituzione da fondarsi in Torino, intestata a mio nome, da denominarsi ‘Fondazione Ebraica Marchese Cav. Gugl. de Levy’». L’istituzione doveva avere sede presso la Comunità Israelitica di Torino ed era «intesa a promuovere la migliore conoscenza d’Israele, sia fra gli Ebrei, sia anzitutto nel pubblico di altre fede [sic] religiose affinché sia combattuta l’ignoranza ed i continui pregiudizi contro gli Ebrei, in generale di fare opera e continua contro l’antisemitismo». Nel documento il testatore precisava inoltre che «Tale opera dovrà svolgersi mediante lezioni, premii, pubblicazioni, conferenze, ed ogni altro mezzo giudicato idoneo allo scopo, compreso se è possibile un bollettino mensile. A capo della fondazione vi dovrà essere il Rabbino-Capo pro tempore della Comunità Israelitica di Torino, coadiuvato dagli altri due esecutori testamentari vita natural durante. Altri successivi dirigenti della fondazione verranno scelti dal Rabbino-Capo pro tempore».

Il capitale non doveva essere toccato e per le attività della Fondazione dovevano essere utilizzati (quasi interamente) gli interessi.

Concludeva dichiarando «che nessuno dei miei famigliari potrà accampare diritti o pretese qualsiasi sulla mia eredità» e chiedendo agli esecutori di recitare annualmente il Qaddish nell’anniversario della morte.

Il 30 luglio dello stesso anno, mentre si trovava ad Arma di Taggia, il marchese volle aggiungere un supplemento nel quale dava nuove indicazioni sul compenso degli esecutori testamentari e raccomandava loro prudenza nella scelta dei successori.

E poi ancora, a fine agosto, a Torino scriveva un’aggiunta nella quale specificava il suo desiderio di essere inumato nel Cimitero israelitico di Torino secondo il rito religioso.

Soprattutto, si premurava, forse consigliato dagli esecutori, nell’eventualità che «le mie disposizioni testamentarie che dispongono la fondazione di una istituzione universale del Judaismo, incontrassero difficoltà o divieti da parte dell’Autorità Tutoria», disponendo che in subordine il patrimonio passasse alla Comunità ebraica di Torino e che «il reddito di questo patrimonio venga impiegato e soltanto in parte allo scopo di tutelare nella forma consentita dalle leggi il rispetto dovuto alla nostra religione e la conoscenza e la difesa della sua dottrina religiosa. Quello che avanza ogni anno del reddito deve venire investito in titoli dello Stato per incrementare il patrimonio».

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Due codicilli particolari

A quasi un anno dalla redazione del testamento, il 28 aprile 1941, il marchese De Levy, che si trovava ad Arma di Taggia, volle aggiungere un codicillo che bene dimostra come le diffamazioni sistematiche e le conseguenti persecuzioni stessero intensificandosi in Italia.

In esso chiedeva:

«Debbo pregare i miei esecutori testamentari di aver un occhio vigilante sulla stampa, la nostra nemica più maligna e più crudele […] è un sacro dovere dei miei esecutori testamentari di cercare ogni mezzo… per ottenere il diritto di poter querelare…
Converrebbe di sussidiare un giornale molto diffuso che dovrebbe empire il compito di difenderci contro le calunnie e le offese. Il nome Ebreo è un nome disprezzante e dovesse scomparire nella stampa e in sua vece si dovesse chiamarci Israeliti e qualunque che ci chiama Ebreo dovessimo avere il diritto di poter querelare per offesa».

Esprimeva inoltre il desiderio che venissero venduti soltanto i quadri di soggetto cristiano, mentre gli altri dovevano andare ad ornare le mura «della sala dove annualmente si radunano i rabbini».

Nell’estate dello stesso anno, sempre da Arma, scriveva a Ettore Ovazza trasmettendo un altro codicillo:

«[…] Desidero che dopo la mia morte siano ritirati – naturalmente se é permesso o quando sarà permesso – dalle varie Banche anche in Germania tutti i miei titoli e riuniti ai miei titoli depositati già in Svizzera presso il Basler-Bankverei in Basilea, alla Schweizerische Bankgesellschaft in Rapperswyl ed anche dove non ancora ne posseggo anche presso la Schweizerische Credit – Austalt in Zurigo».

Considerati gli eventi che da lì a poco seguirono, fu impossibile sbloccare e trasferire i titoli; anzi: ancora a distanza di anni dalla fine della guerra gli esecutori testamentari si trovavano per questo rispetto in difficoltà.

Si specifica inoltre qui per scritto e più chiaramente il cenno fatto a conclusione del precedente codicillo:

«Desidero anche, lo ripeto, che ogni tre anni ed anche prima in caso di grande necessità, abbia luogo in una città della Svizzera una assemblea dei Rabbini Capi principali, una assemblea, che abbia un [sic] impronta internazionale…».

Il Marchese Cav. Guglielmo De Levy – Dopo la guerra

Il 9 novembre 1945, a guerra conclusa, quando lo scenario politico mondiale era radicalmente mutato, De Levy aggiunse ancora un codicillo, questa volta pubblico, redatto dal notaio Venanzio Ferraris di Bardonecchia nel parlatorio dell’Istituto Ricovero Vecchi Opera Mons. Rosaz di Susa. L’atto aveva lo scopo di confermare il testamento olografo scritto ormai più di cinque anni prima («Confermo il mio precedente testamento olografo depositato a mani del Comm. Dario Disegni Rabbino Capo della Comunità Israelitica di Torino, che è l’unico testamento da me redatto») e di inserire però, «atteso il decesso dello esecutore testamentario Comm. Avv. Ettore Ovazza», l’avvocato Moise Foa, Segretario della Comunità Israelitica e Opere Pie Israelitiche di Torino. A questo seguì immediatamente la redazione di un mandato generale con il quale il marchese nominò Dario Disegni suo procuratore generale.

Il testamento e i codicilli, consegnati a mani di Dario Disegni, furono ancora ufficialmente confermati da una lettera-dichiarazione del 21 luglio 1946. In un’altra lettera recante la stessa data e sempre indirizzata al rabbino Disegni il marchese dichiarava «che in un momento di persecuzione durante l’anno di clandestinità, per salvare tutta la mia roba ho accettato contro la mia volontà, pro forma il battesimo cattolico». Con lo scritto consegnato a Disegni il marchese «in pieno [sic] coscienza sconfesso ed annullo questo mio atto, poiché voglio essere considerato ebreo e morire da ebreo ed essere sepolto quando il Signore mi chiamerà a Sé, in un cimitero ebraico».