Il Congresso rabbinico del 1950

L’iniziativa più significativa della Fondazione nei primi anni della sua attività fu l’organizzazione di un Congresso dei rabbini d’Italia. Preparato dal rabbino Disegni con l’aiuto del rabbino David Prato di Roma, allora presidente della Consulta Rabbinica, il Congresso si svolse a Torino nel marzo del 1950.

L’organizzazione di simili convegni era stata espressamente richiesta da De Levy nel suo testamento, anche se il marchese auspicava ad una riunione internazionale, che diventasse un appuntamento ricorrente per il rabbinato mondiale. L’organizzazione di un Congresso nazionale, considerati i tempi, fu già impresa di non irrilevante importanza e impegnò notevolmente il Consiglio della Fondazione, in particolare il presidente Disegni.

L’idea del Congresso e i primi contatti

Il primo documento conservato in archivio nel quale si fa cenno ad un Congresso rabbinico risale all’11 dicembre 1949 ed è la minuta dattiloscritta di una lettera inviata da Disegni a Prato. Disegni scriveva al collega:

«Nella seduta che la Fondazione De Levy ha tenuto la scorsa settimana io ho proposto che la Fondazione stessa si facesse promotrice d’un congresso rabbinico italiano, visto che l’Unione ha accantonato l’idea. Il fondatore fra le Sue volontà raccomanda agli esecutori testamentari di raccogliere almeno ogni tre anni una riunione di rabbini di tutti i paesi in una città della Svizzera. Ciò naturalmente per ovvie ragioni è inattuabile per cui noi si penserebbe per intanto raccogliere in consesso i rabbini di Italia e tale raduno dovrebbe servire d’incentivo al grande congresso mondiale […]». Dal momento che «anche un congresso ristretto alla minuscola schiera del rabbinato italiano dovrebbe essere ben organizzato», Disegni comunicava inoltre a Prato: «io penserei verso la fine del corrente mese venire a Roma per prendere i preliminari accordi con te», specificando che «la Fondazione non intende affatto sostituirsi all’Unione né tanto meno alla Consulta Rabbinica solo agire di comune accordo e se del caso l’iniziativa potrebbe partire da te».

Con una lettera datata 18 dicembre Prato dava la sua disponibilità a collaborare, approvando il progetto e confermando che anche a suo parere era «assolutamente necessario un nostro incontro e pertanto accolgo lietamente la notizia della tua prossima venuta a Roma».

I due rabbini si trovarono in effetti a Roma alla fine del ’49, come confermato da una lettera di Prato datata 4 gennaio 1950 nella quale questi faceva riferimento all’incontro.

Nella stessa lettera Prato confermava l’idea espressa da Disegni di includere nel comitato organizzatore il presidente della Comunità torinese, Eugenio Norzi.

L’organizzazione del Congresso fu approvata formalmente dalla Fondazione in una riunione tenuta il 15 gennaio 1950, di cui si conserva l’ordine del giorno, e in quell’occasione furono stabilite le date: 12, 13 e 14 marzo.

Considerato il pochissimo tempo a disposizione, il presidente Disegni dedicò nei mesi successivi tutte le proprie energie all’organizzazione del Congresso.

L’organizzazione

Redigere un programma che affrontasse in poche sedute i temi più sentiti dal rabbinato italiano dell’epoca e più urgenti per l’ebraismo nazionale e internazionale era impresa non semplice. A chi chiedere di tenere una relazione e su quali temi furono evidentemente le questioni più discusse fra Dario Disegni e David Prato, oggetto di un fitto scambio di lettere.

Fra le prime decisioni da prendere vi furono anche quella degli inviti e dell’organizzazione della cerimonia inaugurale e del ricevimento, che si svolsero il 12 marzo.

Il consigliere avvocato Moise Foa scrisse il testo con comunicazione del congresso, da pubblicare sul Notiziario della Comunità di Torino, datato 19 gennaio 1950.

Interessante notare che, a quanto consta dalle carte, Dario Disegni volle anche tentare un incardinamento dell’importante iniziativa nella più generale storia dei Congressi ebraici italiani. Una storia che oggi è sufficientemente nota, ma che nel 1950, seppur a meno di un secolo di distanza, era ancora da ricostruire. Lo testimonia la lettera che Gustavo Calò, rabbino di Vercelli, inviava a Dario Disegni il 26 febbraio.

Il Congresso, nonostante il poco tempo a disposizione per l’organizzazione e nonostante alcune difficoltà sorte nelle settimane che lo precedettero, soddisfece e forse superò anche le aspettative dei partecipanti, come leggiamo in svariate lettere di ringraziamento inviate a Torino.

Fra queste, ad esempio, quella di Moise Fano, presidente della Comunità di Venezia, che il 19 marzo scriveva a Disegni: «Sono assai lieto di averla riveduta bene dopo tempo e debbo congratularmi con Lei per l’ottimo risultato avuto dal Convegno […] Porgo a Lei e ai rappresentanti della Comunità di Torino molti ringraziamenti per l’accoglienza tanto cordiale e signorile […]». Dello stesso giorno è la lettera di David Schaumann, rabbino capo di Genova: «Di ritorno da Torino, sento proprio l’impulso a rivolgermi a Lei, fuori e oltre ogni dovere convenzionale, per esprimerLe la mia riconoscenza per il Convegno, che ho sentito ispirato e dalla Sua volontà fattiva e illuminata. Sono felice di aver avuto in quei giorni l’occasione di avvicinarLa e di apprezzare in Lei un Maestro di quell’ebraismo italiano, che da anni ho imparato ad amare attraverso le persone e l’insegnamento dei suoi figli migliori […]». E dalla Comunità di Firenze si scriveva: «Carissimo Moise [Foa], è doveroso da parte mia porgerti i più caldi ringraziamenti per l’accoglienza cordiale ed affettuosa riservatami in occasione della partecipazione al convegno rabbinico. L’organizzazione è stata impeccabile, e non so se altrove avremmo avuto tutte quelle attenzioni cui siamo stati fatti segno […]» (26 marzo).

I relatori e il programma

Una bozza del programma fu stilata nei primissimi giorni del gennaio 1950, a seguito del colloquio avuto fra Dario Disegni e David Prato:

«domenica 12 marzo ore 16 Inaugurazione … nel “Bèd Akenesced” Oratore Prato
ore 21 Ricevimento dei congressisti
Lunedì 13 ore 9 “Problemi riguardanti l’istruzione, i giardini d’infanzia, le scuole elementari, secondarie, cultura per gli adulti” relatore Prato
ore 15 “Problemi di vita spirituale-servizi sinagogali-siddur-parascià-tefillod-cerimonie liete e tristi-tutela sacro patrimonio” relatore Disegni
ore 18 “Collegio rabbinico italiano-seminario D. Almagià” relatore Toaff Livorno
martedì 14 ore 9 “Rapporti fra lo Stato d’Israele e la “Golà”-“Rabbinato nei riguardi della gioventù” Relatore Toaff Venezia
ore 15 “Applicazione degli art. 5 e 9 della Legge sulle Comunità israelitiche italiane – Propaganda alla radio – Comunità minori” relatore avv. G. Ottolenghi
ore 20 Cerimonia di chiusura”»

Questa prima bozza era destinata ad essere notevolmente modificata. Molto fu ancora discusso per via epistolare fra Disegni e Prato e alcune variazioni al programma furono fatte a pochi giorni dall’avvio dei lavori: aumentarono i relatori coinvolti e variarono in parte i temi; in particolare, fu quasi da subito abolita la relazione in merito agli articoli 5 e 9 della legge sulle Comunità, su richiesta esplicita dell’Unione.

Dalle prime lettere, del gennaio 1950, si apprende che Disegni avrebbe voluto affidare una relazione anche ad Astorre Mayer, ma che il Prato dubitava della possibilità che Mayer, sempre molto impegnato, accettasse la proposta (lettera di Prato a Disegni, 4 gennaio). Viceversa, il rabbino capo di Roma proponeva: «Fra le persone da convocare aggiungerei anche il Prof. Joseph Colombo» (lettera di Prato a Disegni, 5 gennaio), ciò che ribadiva in un’altra lettera del 12 gennaio.

E aggiungeva sinteticamente il 19 gennaio:

«… Toaff: d’accordo per il Collegio e le piccole Comunità.
Antisemitismo: ti ripeto che non terrei all’ordine del giorno …
Sera di domenica: meglio dedicarla alla riunione amichevole. La commemorazione di Ben. Si farà lunedì mattina.
Belgrado: mi sembra esagerato, del resto fate voi.»

Disegni rispondeva positivamente su Colombo: «Prendo nota del nome di Joseph Colombo per invitarlo (anzi non credi che se fosse il caso affidargli la trattazione di qualche problema p.e. La diffusione della cultura attraverso audizioni alla radio, pubblicazioni di carattere divulgativo o qualche cosa di simile)» e aggiungeva: «Fra gli invitati penso che dovremo includere anche Uzzielli. Non so cosa pensare di Fernando Belgrado» (lettera di Disegni a Prato, 19 gennaio).

Lo stesso 19 gennaio il rabbino Disegni inviava una lettera al rabbino Elia S. Artom a Gerusalemme: «Non so se già Le sarà giunta la notizia che a Dio piacendo nel prossimo Adar per iniziativa… Ovvie le ragioni che ci spingono a promuovere questo raduno. Immaginerà certo gli argomenti principali che dovremo trattare e già d’accordo con Prato di Roma abbiamo designato alcuni relatori che dovranno riferire sopra temi già assegnati.

Preziosa sarebbe per noi la Sua collaborazione per la buona riuscita del convegno; purtroppo dalle notizie che ho anche recenti dai Suoi Cari da qui, sembra ancora lontana la probabilità di averla vicino a noi. Per cui dovendo rinunziare alla Sua presenza al Convegno, si desidererebbe, e questo lo chiedo anche a nome di Prato che fa parte con me del Comitato organizzatore, avere da Lei suggerimenti, consigli, proposte od altri. Lei quanto noi conosce le condizioni dell’Ebraismo italiano quindi ha competenza assoluta per suggerire i mezzi più acconci per risollevare, se è possibile, le condizioni spirituali di questi nostri fratelli…».

Sulla scia delle differenze di vedute con l’Unione, in una lettera datata 22 gennaio Prato sottoponeva a Disegni varie osservazioni e rispondeva al quesito sollevato da Elio Toaff di Venezia, che Disegni aveva sottoposto anche a lui, sul taglio da dare alla propria relazione dedicata ai rapporti fra Israele e la Golà: «A Toaff risponderei che egli può parlare di tutto quello che vuole meno che dei rapporti politici. È soprattutto dell’influenza spirituale che Israele dovrebbe avere sulla Golà sulla quale egli potrà insistere, sullo scambio di maestri, sulla cordialità di rapporti, sull’invio di materiale cultuale e culturale, sui viaggi che dovrebbe essere dato ai rabbini di fare periodicamente in Israele, sul dovere della Golà d’imporsi una tassa annua per i bisogni d’Israele ecc. ecc.».

A fine gennaio fu coinvolto Paolo Nissim di Padova, su suggerimento di Prato: il 24 Disegni gli scrisse per affidargli la relazione sulla “Diffusione della cultura presso la gioventù”, in un primo tempo pensata per Elio Toaff. Come si vede da una lettera del 30 mandata da Prato, Nissim accettò: «… Sono contento che Nissim abbia accettato: gli consiglierei d’insistere sui campeggi organizzati però su basi tradizionali, Zofim, riunioni ecc.».

All’inizio di febbraio la questione della distribuzione dei temi sembrava definitivamente risolta, come leggiamo in una lettera inviata al rabbino capo di Torino da Prato: «ho avuto occasione oggi di parlare con Toaff di Livorno e siamo rimasti d’accordo che egli farà la relazione sull’Istruzione elementare e media ed io quella sul Collegio Rabbinico Italiano. Naturalmente tanto l’uno che l’altro parteciperemo alle discussioni sulle reciproche relazioni.» (9 febbraio).

Ciononostante, a metà febbraio le questioni aperte erano ancora molte, come leggiamo in una lettera di Prato del 15:

«… faccio seguito alla lettera di ieri per inviarti la ormai quotidiana epistola.
Vertenza Toaff: ti prego spedire il materiale a Friedenthal: ne parleremo a Torino e vedremo di sbrigare la faccenda che è assai dolorosa.
Ghelima Derabanan: sono contrario perché come ebbi già occasione di dirti ne uscirebbe una carnevalata… meglio è che ciascuno vesta la redingote e un berretto…
Stampa estera: se vuoi proprio che scriva io rimandami il testo e l’elenco dei giornali…
Direttore Israel: visto che Torino possiede un corrispondente a me sembra che sia sufficiente.
Mezuzoth: te ne farò spedire 10 e tu poterai fare avere i denari direttamente alla Comunità.
Sierra: se non mancherà il tempo approvo.».

Nel frattempo veniva sollevato un altro problema, quello del coinvolgimento del Schaumann di Milano. In una lettera del 17 Disegni rifletteva con l’avv. Ottolenghi di Milano, consigliere nominato dall’Unione in seno alla Fondazione:

«[…] Da tutti i rabbini invitati al congresso abbiamo ricevuto l’adesione, l’unica eccezione è il Dr. Schaumann. Ricollegando questo fatto con quello che Lei mi diceva circa il mancato incarico di relatore dato al suddetto mi fa dubitare che questo sia la causa del silenzio dello Schaumann. Nel frattempo io ho scritto a Toaff-padre per chiedergli se accettando lui di dare la commemorazione di Benamozegh fosse stato disposto a rinunziare alla relazione scolastica nel quale caso volentieri l’affiderei a Schaumann. Ma se poi questi non accettasse verrebbe fuori un bel pasticcio […]».

In effetti si conserva anche la minuta della lettera scritta il giorno prima 16 febbraio da Disegni ad Alfredo Toaff di Livorno, in cui il rabbino torinese chiedeva espressamente al collega: «Mi si protesta perché si sarebbe dovuto affidare a Schaumann di Milano di trattare l’argomento dell’istruzione elementare e media quale preside del maggior istituto ebraico in Italia. Ora dunque ammesso come spero che tu accetti di essere l’oratore per la commemorazione di Benamozegh e che tu dovresti trattare altri due argomenti e cioè istruzione elementare e media e comunità minori ti chiedo in via strettamente fraterna se credessi fosse il caso di cedere l’argomento…». Toaff aveva risposto: «… La sola informazione che tu mi dai, che qualcuno avrebbe voluto che si fosse affidata ad altri la trattazione del tema istruzione è per me ragione più che sufficiente per rinunciare a trattarlo io. Non senza però deplorare l’inframmettenze inopportune di chi, in questioni che non sono di competenza sua, dovrebbe mantenersi estraneo.

Per la commemorazione di Benamozegh ho già scritto quattro e cinque giorni fa a Colombo che la faccia lui, come in un primo tempo gli era stato scritto, e che io mi limiterei ad aggiungere qualche parola.

Così a me rimarrebbero le Comunità minori. Data però l’importanza non capitale del tema, che chiunque altro potrà trattare anche senza precedente preparazione, e la possibilità non lontana che, poco soddisfatto dell’indirizzo che le trattative per l’organizzazione del Convegno hanno assunto, non certo per colpa tua, io rinunzi ad intervenire, ti prego di non inserire il mio nome nel programma fra i relatori …».

Messo evidentemente con tempestività al corrente di come si avviavano le cose, anche Prato, come riferisce a Disegni in una lettera del 19 febbraio, aveva scritto ad Alfredo Toaff: «ho scritto un lungo espresso a Toaff dicendogli che scelga lui quello che vuole ma che per l’amor del cielo non faccia scherzi perché non intervenendo lui il Convegno non avrà luogo. Speriamo che si convinca. Nel caso tenesse duro sarebbe bene trovarci a Livorno per la commemorazione. Verrei anch’io per quanto sarebbe un sacrificio. Tu poi potresti passare il Sciabbat a Livorno e venire qui Domenica. […]».

Alfredo Toaff rispondeva il 20 febbraio a Disegni: «[…] Mi dispiace proprio di aver dato preoccupazione a te, di cui ho sempre apprezzato l’amicizia leale e l’affetto sincero, ma pur devi essere convinto che non ho torto. Avevo già rinunciato a preparare la relazione sull’istruzione e avevo chiesto notizie sull’indirizzo […]. Ma poiché il materiale richiesto non mi è ancora arrivato, il tempo stringe, e mi mancano ancora molti dati per parlare dell’argomento con piena cognizione di causa, bisogna che rinunci in ogni modo.
Allora, parlerò, prima o dopo Colombo, di Benamozegh insegnante e farò la relazione sulle Comunità minori alla quale puoi aggiungere, se credi, biblioteche e archivi.

Chi ha già ricevuto il primo programma del convegno penserà – vedendo questi cambiamenti – che sia stato io a cedere a Prato la relazione sul Collegio, e Prato a cedere a Schaumann quella sull’istruzione elementare e media.».

Il 23 febbraio il problema sembrava risolto: «Superate non lievi difficoltà sono riuscito a mettere le cose a posto nei riguardi dei relatori al Convegno. Toaff rinunzia spontaneamente di trattare l’argomenti Istruzione e media per affidarla a Schaumann. Iersera ho spedito un espresso a Schaumann per dargli l’incarico anche a nome di Prato… Le scrivo appunto perché si metta in rapporto subito con Schaumann e se questi facesse difficoltà cerchi Lei di fare le maggiori pressioni affinché accetti». (lettera di Disegni a Ottolenghi) Schaumann accettò.

Nell’archivio si conserva anche notizia di una relazione sulla musica sinagogale, che però, apparentemente, non fu mai letta: l’aveva trasmessa di propria iniziativa a Disegni il dottor Raoul Elia di Milano, all’inizio di marzo.

Il programma e l’Unione

Di importanza non secondaria il problema che David Prato sollevava nella lettera del 5 gennaio: «Carissimo, faccio seguito alla mia lettera di ieri per proporti d’inviare al più presto una lettera ufficiale alla Presidenza dell’Unione per comunicare che è stata decisa la convocazione del Congresso … e che a suo tempo riceverà l’invito ufficiale».

I rapporti con l’Unione erano particolarmente delicati a motivo del lungo e allora non ancora concluso processo di riconoscimento giuridico della Fondazione ed era quanto mai opportuno agire in modo da non urtare i sentimenti del presidente Cantoni. Il rabbino Disegni scrisse tempestivamente una lettera, che sottopose a Prato, il quale approvò con sua missiva del 12 gennaio, e inviò all’Unione.

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Come previsto, l’Unione, pur aderendo in ultima istanza all’iniziativa, oppose dapprima alcune difficoltà. La più sostanziosa il fatto che fra i temi da discutere al Congresso fosse stato inserito l’«Applicazione degli art. 5 e 9 della Legge sulle Comunità israelitiche italiane». Gli articoli trattavano rispettivamente dell’uscita volontaria dalle comunità (e della perdita contestuale del diritto di accedere ai servizi cultuali e liturgici) e dei soggetti eleggibili nei Consigli delle Comunità: il presidente dell’Unione vedeva forse come un’ingerenza l’inserimento di tali questioni nell’ordine del giorno di un Congresso rabbinico.

In una lettera del 2 febbraio Prato riferiva a Disegni che la seduta di giunta dell’Unione era stata «un po’ animata anche perché mi sono trovato solo a difendere il nostro punto di vista»; dopo aver evitato che il Congresso venisse snaturato «abbinandolo all’inizio solenne della Campagna per Israele che dovrebbe aver luogo il 19 prossimo invitando a Torino tutti i Rabbini che avrebbero colto l’occasione per trovarsi insieme», il rabbino capo di Roma aveva però dovuto cedere sugli articoli 5 e 9 e invitava Disegni a fare lo stesso, in questi termini: « La Giunta dell’Unione domanda la soppressione della relazione intorno agli articoli 5 e 9 della Legge sulle Comunità per motivi ai quali noi non avevamo pensato e che io ritengo logici: ho aderito. Ti prego di aderire ottenendo il consenso del Comitato. Intorno a questi motivi ti parlerò a suo tempo. Riceverai una lettera dell’Unione e ti prego, onde evitare attriti e contrasti, che potrebbero mettere in pericolo il Convegno o diminuirne il valore, di non irrigidirti, di non formalizzarti mippene darhè scialom».

Un giorno dopo questa lettera del Prato, il 3 febbraio, il presidente dell’Unione inviò a Disegni una lettera ufficiale relativa alla questione: «[…] Si ha l’onore di richiamare l’attenzione di Vossignoria e del Comitato organizzatore su alcuni argomenti che sono stati posti in discussione. Nella fattispecie quello relativo all’interpretazione ed applicazione degli atti 5 e 9 della legge sulle Comunità. Non per evitare una nuova discussione sull’argomento, ma nella certezza che l’esito di essa non potrebbe comunque modificare le disposizioni legislative in essere, questa Unione prega che il problema venga tolto dall’Ordine del Giorno». Cantoni concludeva riaffermando la disposizione dell’Unione per il resto a collaborare alla buona riuscita del Convegno.

Questa disposizione conclusiva rafforzò l’idea del Comitato promotore e in particolare di David Prato circa l’opportunità di coinvolgere ufficialmente il presidente dell’Unione: «[…] Quanto a Cantoni non avrei nessuna difficoltà ad invitarlo a salutare il Convegno nella seduta inaugurale, tanto più che se non lo invitiamo chiederà lo stesso di prendere la parola…» (lettera di Prato a Disegni 19 febbraio).

I partecipanti

Una delle prime questioni discusse fra Disegni e Prato fu il coinvolgimento dei maskilim. David Prato in una lettera del 4 gennaio 1950 scriveva: «Non sono d’accordo con voi nell’escludere i cosiddetti Capi Culto che poi si riducono a uno, se ben mi appongo, il Coen di Napoli: forse si potrebbe escluderli dal diritto di voto se votazione ci sarà. Non mi sembra opportuno, anche loro hanno una certa responsabilità non priva di noie…». Lo stesso ribadiva in una lettera scritta il giorno dopo, 5 gennaio.

I rabbini furono ufficialmente invitati con lettere raccomandate. Si conservano alcuni elenchi in bozza dei rabbini coinvolti, che erano:

Relles di Trieste,
Prato di Roma,
Sacerdoti di Viareggio,
Toaff di Venezia,
Pavoncello di Verona,
Lattes di Modena,
Coen di Napoli,
Nissim di Padova,
Schaumann di Genova,
Toaff di Livorno,
Friedenthal di Milano,
Leoni di Ferrara,
Massiah di Firenze,
Uzzielli di Firenze,
Lattes di Siena,
Jerahmiel di Roma – Collegio Rabbinico,
Prof. Joseph Colombo – Milano,
Frostig Adler Roma – Collegio Rabbinico,
Sierra di Bologna,
Ancona di Acqui

Furono inoltre invitati i presidenti delle Comunità, i presidenti delle più importanti istituzioni ebraiche e diverse personalità di spicco del mondo culturale ebraico italiano; tutti, però, senza diritto di voto. In archivio si conservano svariate lettere in risposta agli inviti.

Della sistemazione dei partecipanti si occupò principalmente il consigliere Moise Foa: gli ospiti furono in parte alloggiati all’hotel Majestic, in parte al Suisse, in parte al Genio, con rimborso totale delle spese per i rabbini.

La cerimonia inaugurale

Si conservano in archivio bozza dell’invito e resoconto della cerimonia inaugurale, che si tenne nel Tempio grande, da poco restaurato.

Una prima proposta di programma era stata fatta dal presidente Disegni a David Prato nella lettera del 19 gennaio 1950:

«La seduta inaugurale vorrei farla nel S. Tempio a terreno, la sala che tu hai veduto e che in questi giorni è stata tutta rimessa a nuovo.
Per quanto potremo stabilire in seguito i particolari della cerimonia secondo me dovrebbe impostarsi così:
Parole del Presidente Fondazione
Parole del Presidente Consulta Rabbinica
Parole del Presidente della Comunità
Parole del Presidente dell’Unione
qualche recita di salmi oppure affidare a qualcuno la spiegazione d’un pezzo di midrasc adatto alla circostanza.
Farei seguire poi canti di pezzi religiosi o anche palestinesi eseguiti dal nostro coro di ragazzi dell’Orfanotrofio.
Canto finale dell’Attikvà.
Poi un rinfresco in locali attigui.»

Il tutto si doveva concludere con un ricordo di Benamozegh nel cinquantesimo anniversario della morte.

L’organizzazione della cerimonia fu a lungo discussa fra D. Disegni e D. Prato prima che i due convergessero su un programma definitivo.

In una lettera del 22 gennaio fra gli altri argomenti Prato affrontava appunto anche quello della funzione inaugurale: «Sono molto perplesso nei riguardi dell’ordine del programma e pertanto attiro a questo proposito la tua attenzione perché è un particolare di grande interesse. Non so se sia il caso di cominciare con la commemorazione di Ben Amozegh o invece con la tua relazione. Pensaci bene…»; e aggiungeva in una postilla manoscritta «Certo se la seduta inaugurale si farà al Tempio Maggiore allora la cosa cambia aspetto e la presenza di Belgrado andrebbe bene. Per quanto concerne la veste rabbinica andrebbe bene se tutti avessero la stessa, ma temo che ne verrebbe fuori una carnevalata. Potresti al caso indossarla tu solo come Rabbino di Torino. Si potrebbe forse invitare a portare il cilindro?».

Disegni rispondeva prontamente punto per punto:

«Secondo me la seduta d’inaugurazione tanto più che si farà al Tempio maggiore mentre il congresso si terrà in una sala del Talmud Torà dovrebbe assumere un aspetto particolare cioè di cerimonia religiosa vera e propria da non confondersi coi lavori del convegno con larghi inviti, quindi andrà benissimo aggiungere la commemorazione Benamozeg alla quale l’oratore potrebbe aggiungere anche parole di rimpianto per la recentissima morte (il 23 dic. u.s.) di Aimé Palliere […]. La seduta iniziale se si comincerà alle 16 durerà colle commemorazioni di Benamozeg, coll’Izcor dei Rabbanim, colla prolusione midrascica e i cori almeno fino alle 18. Alle 19 io farei pranzo, alle 21 ricevimento.» (lettera del 24 gennaio).

E sull’abbigliamento

«Io penso che qualunque sia la confezione si tratterà sempre di veste nera col berretto nero sia pure di forma diversa, per cui non vedrei il pericolo di … carnevale. Richiedere il cilindro credo sia cosa difficile. A parte che alcuni rabbini non ce l’hanno, anche se lo possiedono sarà qualche oggetto da mettere in ghenizzà o se mai potranno indossare il cilindro i professori e a questo vi si potrà provvedere localmente…».

Proponeva infine in un post scriptum di affidare la lezione midrashica a Gustavo Calò di Vercelli, al quale in effetti scriveva il 27 gennaio, con l’approvazione di Prato:

«Durante lo svolgimento del programma della seduta inaugurale del congresso Rabbinico, sarebbe intenzione del Comitato organizzatore che venisse consacrato qualche momento ad un Limmud. Si penserebbe ad un commento di qualche passo del Midrasc che avesse riferimento alla festa inaugurale». Ma Prato dubitava di questo coinvolgimento: «Per quanto concerne Calò sono sempre in dubbio: non vorrei che riuscisse una cosa barbosa. E poi in dieci minuti che vuoi che dica? […] Certo è che la seduta inaugurale non si presenta molto… gaia ma se ci sarà Belgrado salverà la situazione se i brani che canterà saranno scelti con criterio e bene accompagnati…» (lettera 30 gennaio).

Il ricordo di Benamozegh fu affidato a Joseph Colombo. Questi però scriveva il 7 febbraio specificando che il suo sarebbe stato un intervento di carattere culturale e non propriamente una commemorazione:

«Il mio discorso su Benamozegh non potrà essere che dedicato al di lui pensiero. Cercherò di dare una sintesi della sua ideologia religiosa e di presentare il profilo della sua figura di pensatore … Penso perciò che … Toaff potrebbe fare la commemorazione vera e propria».

Due giorni dopo Disegni gli rispondeva

«… La commemorazione di Benamozegh sarà inserita nella cerimonia d’inaugurazione e cioè nel pomeriggio della domenica 12. sarebbe impossibile farla durante le sedute destinate alla trattazione di tanti argomenti gravi da sviscerare per i quali si prevede già insufficiente i due giorni che durerà il congresso. Data tale premessa, siccome la seduta d’inaugurazione avrà un programma di musica, coro, prescindendo da poche parole di saluto del sottoscritto, di Cantoni e del Presidente della Comunità, ritengo che a Lei possiamo riservare al massimo una trentina di minuti forse meno che più».

Prato sosteneva che «L’invito alla seduta inaugurale non dovrebbe contenere il programma. Gl’invitati non dovrebbero avere il diritto di partecipare alle discussioni se non in via eccezionale». (lettera 19 febbraio)

Insieme al programma, fu discussa anche la questione dell’abito da indossare. Il rabbino Paolo Nissim di Padova chiedeva a Moise Foa in una lettera datata 6 marzo:

«Per quanto riguarda la redingote, io non la possiedo. Ho invece il tight: crede che sia opportuno indossi per la cerimonia questo, o preferirebbe la giacca nera?».

Il ricevimento

L’idea di un ricevimento fu per la prima volta espressa dal presidente Disegni nella lettera del 19 gennaio: «Sto pensando di organizzare una delle due sere in cui i congressisti saranno a Torino un ricevimento possibilmente in una casa privata e nella seconda sera un concerto ben inteso di carattere esclusivamente ebraico. Cosa ne pensi?».

Già in questa lettera Disegni prevedeva che il ricevimento potesse seguire, come poi nei fatti fu, la seduta inaugurale.
Il ricevimento – preceduto da un pranzo riservato ai congressisti, organizzato nell’orfanotrofio di via Lombroso alle 19.30 – fu allestito in un locale della scuola, al primo piano dello stabile di via Sant’Anselmo, e iniziò alle 21.30. In archivio si conservano vari elenchi degli invitati, una minuta dell’invito alla cerimonia inaugurale e una minuta dell’invito al ricevimento.

Una descrizione della seduta inaugurale e dei festeggiamenti seguiti si legge nella bozza, in parte manoscritta e in parte dattiloscritta, di quello che sembra un resoconto destinato alla stampa:

«Dinanzi ad un pubblico affollatissimo, di più di mille persone, fra cui il Vice Sindaco On.le Dott. Casalini, il Vice Prefetto avv. Beretta, il Pastore Valdese, si è inaugurato il 12 corr. al Tempio Maggiore di via Pio V 12, tutto infiorato e illuminato a giorno, il Convegno Rabbinico Italiano, di iniziativa della Fondazione Marchese Cav. Guglielmo De Levy. A questo Convegno partecipano 17 Rabbini di tutte le Comunità, il Presidente e alcuni Consiglieri dell’Unione delle Comunità Italiane, Presidenti e consiglieri di tutte le singole Comunità e alcune fra le personalità più eminenti dell’ebraismo italiano.[…] Dopo la cerimonia gli intervenuti trovarono accoglienza nella sede dell’Orfanotrofio dove era stata approntata una cena alla quale hanno partecipato gli Ecc.mi rabbini e le personalità intervenute in rappresentanza delle varie comunità […] Nella serata i congressisti sono stati ospitati nella sala del convegno dove è stato offerto un sontuoso ricevimento, al quale hanno partecipato, oltre agli ospiti, parecchi [sic] centinaia di correligionari torinesi invitati, che si sono intrattenuti sino a tarda ora.[…] Il cantore Fernando Belgrado ha intrattenuto i presenti con alcuni canti palestinesi. […] Il maestro Modena ha suonato il piano insieme al maestro Guido Bachi».

I temi discussi

Come da programma definitivo, i temi trattati nel congresso furono: l’istruzione elementare e media, la vita spirituale e il culto, il Collegio rabbinico, le Comunità minori, biblioteche, archivi e patrimonio sacro, diffusione della cultura ebraica fra la gioventù, rapporti spirituali tra lo Stato d’Israele e la Golà, stampa ebraica.

Come visto, fino all’ultimo si discusse fra Disegni e Prato su chi dovesse tenere alcune delle relazioni.

Già prima del congresso i partecipanti nel dare riscontro all’invito ricevuto avanzarono proposte e osservazioni intorno ai temi all’ordine del giorno. Vediamo ad esempio che Simone Sacerdoti, capoculto di Viareggio, sottolineava l’importanza della relazione dedicata alle Comunità minori ed evidenziava l’urgenza di sottoporre all’Unione proposte concrete su questo tema. Umberto Cohen di Napoli, in una lettera dell’8 febbraio, interveniva a proposito della relazione sugli articoli 5 e 9 della legge Falco, che come si è visto sarebbe stata poi abolita su richiesta dell’Unione, chiedendo che fosse chiarito che per non pagare il contributo alla comunità era necessario cambiare confessione religiosa (art. 9), e sottolineando l’importanza di estendere il voto per l’elezione dei Consigli di Comunità alle donne (art. 5). A proposito, poi, delle relazioni fra Israele e la diaspora auspicava che i rabbini della diaspora fossero equiparati per autorevolezza e autorità a quelli di Eretz Israel.

In archivio si conserva un verbale manoscritto delle sedute. Vi leggiamo che i lavori si aprirono alle 9 in una sala del primo piano dello stabile di via Sant’Anselmo 7, allestita per la circostanza con un tavolo centrale per la presidenza e altri tavoli per i rabbini e per la stampa, posti ai lati, con uno spazio centrale riservato al pubblico. La presidenza fu assunta da David Prato.

Si conservano inoltre i verbali di alcune delle relazioni tenute. Fra questi, ad esempio, seppur lacunoso, il verbale della relazione di David Prato sul Collegio Rabbinico.

Dal congresso scaturirono anche alcune mozioni specifiche e una dichiarazione generale di natura programmatica.

Le mozioni

La dichiarazione riassuntiva era espressa dal consesso rabbinico come segue:

«Il Convegno Rabbinico Italiano, assurgendo dall’esame delle condizioni dell’Ebraismo Italiano a quello delle condizioni dell’Ebraismo mondiale; esprime viva preoccupazione per le divergenze che vanno approfondendosi tra la gran parte delle nuove generazioni che ritengono inadeguate alcune forme e alcune norme ad incorporare ed esprimere il loro sincero anelito ad una ricostruzione nazionale e spirituale e i custodi del tesoro tradizionale trasmessoci dai Maestri e dai Padri; ritiene che per far tornare il cuore dei figli ai padri sia necessario riconoscere che col decorso del tempo, non la sostanza eterna ed immutabile delle Leggi dell’Eterno e della Torà, ma le forme della loro attuazione possano adeguarsi alle mutate condizioni della vita politica, sociale, agricola e internazionale; dichiara di tener per fermo che nessun punto delle norme tradizionali possa essere modificato se non per consenso dei Maestri e dei Custodi della Legge e della Tradizione ebraica e che la disciplina alle loro decisioni debba essere salvaguardata in ogni comunità ebraica; sollecita tuttavia il Rabbinato di Erez Israel, al quale riconosce una posizione preminente e centrale, a farsi promotore di conferenze generali del rabbinato mondiale che possano prendere in esame con autorevolezza e decidere sia in riguardo dei problemi più urgenti sia in riguardo alla resurrezione dell’antico Sanedrin per la tutela dell’unità e per la ripresa di un regolare sviluppo della vita tradizionale ebraica».

L’archivio conserva inoltre i testi di alcune mozioni specifiche, riferite ai vari argomenti dibattuti.

Una mozione riguardava i giovani ed era seguita all’intervento di Elio Toaff, rabbino capo di Venezia: «Il Convegno Rabbinico Italiano convinto che l’azione rabbinica debba rivolgersi in particolar modo ai giovani sui quali riposano tutte le speranze per il futuro affermarsi delle idealità ebraiche in Italia come altrove, mentre plaude alle iniziative e alle preziose pubblicazioni del Dipartimento della Cultura dell’Unione delle Comunità e a quanto è stato fatto dai Campeggi, dai Seminari e dagli Enti sionistici e culturali e invita alla prosecuzione e intensificazione di tali attività, invita i Rabbini delle Comunità Italiane a dedicare tutte le loro forze migliori per prendere e mantenere contatto coi giovani, specialmente quelli delle famiglie più lontane, parlando loro un linguaggio comprensibile ed accessibile alla loro cultura e al loro stato d’animo onde far loro intendere la grandezza e la bellezza delle eterne idealità d’Israele; invita altresì la Consulta Rabbinica e l’Unione delle Comunità a fornire ai Rabbini direttive, strumenti e mezzi per lo svolgimento di tale compito».

A proposito delle Comunità minori, argomento trattato dal rabbino Alfredo Toaf di Livorno: «I Rabbini delle Comunità minori, i vice Rabbini e Capi Culto delle medesime nonché coloro che in possesso dei necessari requisiti possano domani ricoprire tali cariche propongono che una commissione mista di Rabbini (Consulta Rabbinica ed altri) e amministratori di Comunità prenda in esame tutte quelle richieste che di volta in volta verranno loro sottoposte dai responsabili spirituali delle piccole Comunità fra cui la più urgente ed impellente sarà quella degli adeguamenti degli onorari alle reali esigenze della vita. […] Il decoro è la prima ed indispensabile qualità atta ad affermare il prestigio di un Rabbino nella propria Comunità». E inoltre: «Il Convegno rabbinico, ritiene assolutamente indispensabile che in ogni nucleo ebraico, per quanto poco numeroso esso sia, risieda un maestro regolarmente abilitato, o un funzionario riconosciuto idoneo a insegnare ai bambini, a ufficiare le pubbliche preghiere, a compiere la macellazione rituale. Non vede difficoltà ad ammettere che il detto funzionario per le Comunità minori, possa essere scelto, quando non si trovi fra i rabbini laureati, fra gli allievi degli ultimi anni del corso medio del Collegio Rabbinico e del Seminario Almagià, fra gli scolari preparati localmente dal Rabbino di una qualsiasi Comunità, o anche fra elementi idonei di cittadinanza non italiana. Reclama l’intervento dell’Unione perché, anche ai funzionari delle Comunità minori, venga garantita una condizione economica adeguata ai bisogni della vita e alla dignità dell’ufficio».

A proposito delle biblioteche e degli archivi, di cui aveva trattato lo stesso Toaff di Livorno:

«Il Convegno rabbinico preso atto della relazione del Prof. A Toaff […] riconosce l’urgenza che da parte delle Comunità stesse e dell’Unione si adottino i provvedimenti necessari.
1° per concentrare in Roma biblioteche e archivi delle Comunità cessate e di quelle che non hanno la possibilità di custodirle come si conviene all’importanza e al valore di quelli che sono i documenti culturali e storici dell’ebraismo italiano e poi costituirvi una biblioteca e un archivio generale dell’Italia ebraica e metterli in condizione di essere a disposizione egli studiosi.
2° per costituire, con gli stessi criteri, a Venezia un Museo generale dell’Ebraismo italiano dove trovino posto i cimeli d’arte esistenti nelle Comunità morte;
3° per provvedere a che gli edifizi artistici dedicati al culto oggi abbandonati vengano tenuti convenientemente e diligentemente custoditi;
4° per costituire, con le modalità proposte, una biblioteca di libri moderni e recentissimi, consultabile dagli storici e in particolar modo dai Rabbini cui sta a cuore di tenersi al corrente di quanto si produce oggi in Israele e altrove nel campo letterario e scientifico dell’ebraismo».

Al Collegio Rabbinico era dedicata una lunga mozione:

«Il Convegno […] udita la relazione del Prof. David Prato Direttore del Collegio Rabbinico Italiano plaude all’Unione […] per lo sforzo compiuto nel fare risorgere l’Istituto […] 2. Prende atto con rammarico dell’attuale incerta situazione dell’Istituto […] carenza del numero degli studenti.
3. Invoca da tutte le Comunità una più viva partecipazione non solo al consolidamento del suo bilancio ma in modo particolare all’invio di studenti ai quali vengano assicurati i mezzi per portare a termine gli studi.
4. Si augura che in ogni Comunità il Rabbino provveda alla preparazione di studenti fino agli esami di Maskil in modo che il Collegio Rabbinico si limiti al Corso Superiore parallelo ai corsi universitari.
5. Fa voti che il Corso Superiore assurga ad un vero e proprio centro di studi Ebraici Classici per mantenere le nostre tradizioni dell’alta cultura ebraica in Italia.
6. Approva la deliberazione della Consulta Rabbinica per cui al titolo di Haham Asciallem venga sostituito quello più modesto di Haham.
7. Si compiace per il ripristino della Biblioteca e rivolge un caloroso ringraziamento al British Council fund per il valido aiuto porto per il riordinamento della Biblioteca stessa.
8. Rivolge un saluto di gratitudine allo stesso British Council Fund e al Joint per il generoso aiuto dato e spera che il Joint vorrà continuare ancora per l’avvenire a sostenere l’Istituto».

A proposito poi della relazione di Dario Disegni sul culto, si concluse che «[…] data l’importanza degli argomenti in essa trattati e la interessante discussione svolta intorno ad essi, invoca la costituzione d’una commissione costituita dall’attuale Consulta Rabbica alla quale si aggreghino altri due membri per uno studio approfondito e riferire in un periodo non superiore ad un anno».

Il congresso esprimeva inoltre alcuni ringraziamenti ufficiali: «a tutti coloro che materialmente e moralmente hanno aiutato e continuano ad aiutare con spirito di solidarietà ebraica il mantenimento delle nostre preziose istituzioni scolastiche che date le esigue entrate delle Comunità non potrebbero svolgere le loro attività.», oltre che all’Unione delle Comunità Italiane, per l’azione svolta a favore della diffusione della cultura ebraica e per il sostegno all’istruzione.

Frutto dell’incontro fu poi un breve testo, contenuto all’interno di una busta con l’indicazione “inno alla pace”, di natura più generale: «I rabbini d’Italia, riuniti a Convegno in Torino il 12 marzo 1950, nel nome di quella compagine che nel secondo conflitto mondiale ha dato il maggior numero di vittime, sente il dovere di invocare, ancora una volta, che i popoli vogliano ispirarsi nel loro faticoso cammino, con tutte le loro forze, ai valori immanenti della giustizia e della pace dettati all’umanità dalle Vette del Sinai e proclamate dai Profeti».