L’Università Israelitica di Saluzzo ed i Congressi di Ferrara e Firenze

Sita a poco più di trenta chilometri a nord di Cuneo, Saluzzo fu per diversi secoli sede di una piccola, ma fiorente comunità ebraica. Oggi estinta in seguito alle persecuzioni razziali del secondo conflitto mondiale, a metà Ottocento l’Università Israelitica contava circa 250 membri. Il nuovo assetto organizzativo, che si ebbe dal 1808 sotto il dominio imperiale francese, fece sì che Saluzzo rientrasse sotto l’autorità del Concistoro di Torino. Dal 1815, in seguito alla Restaurazione, tale organo direttivo fu sostituito da una Commissione Israelitica, con sede a Torino e presieduta dal Rabbino Maggiore della Università Israelitiche del Piemonte. La distinzione tra Università maggiori (Torino, Casale Monferrato, Alessandria e Nizza Marittima) e Università minori (Saluzzo è tra queste) verrà meno con la promulgazione della legge n. 2325 del 4 luglio 1857 (detta legge Rattazzi; se ne veda anche il disegno presentato in Parlamento). Con la legge n. 1731 del 30 ottobre 1930 (detta legge Falco) le grandi comunità inglobarono le piccole, così Saluzzo fu aggregata alla comunità di Torino, perdendo la sua autonomia.
Saluzzo fu tra le comunità che non parteciparono al Congresso di Ferrara del 1863. Dalle carte rinvenute nell’Archivio Terracini risulta, tuttavia, che il Consiglio di amministrazione della comunità avesse espresso il proprio parere favorevole all’invio di un delegato rappresentante. Cionondimeno, dal verbale della seduta del 22 luglio 1862 emerge come tale adesione giungesse non senza “qualche esplicita riserva” e, comunque, a condizione che vi fosse ampio riscontro da parte delle altre Università. Il Consiglio riunito, dunque, delega il presidente Marco Anselmo Segre a rappresentare la comunità nell’imminente consesso, oltre a stanziare i fondi necessari a supplire alle spese che egli si trovi a sostenere.
Dell’impegno attivo dell’amministrazione di Saluzzo nella stesura del programma da trattare al Congresso non v’è ragione di dubitare; al contrario, ne dà prova una lettera dell’1 marzo 1863 inviata da Giuseppe Levi, al Consiglio di Saluzzo; in essa l’autore ringrazia il Consiglio per i preziosi suggerimenti ed al contempo lamenta la scarsa tempestività di molte Università ad inviare i propri. Non è un caso che Levi sia uno dei fondatori dell’Educatore Israelita; il periodico ebraico, infatti, fu il centro propulsivo dell’incontro ferrarese, raccogliendo le adesioni, redigendone il programma e pubblicandone le deliberazioni. Levi sarà, peraltro, nominato Presidente dell’Assemblea congressuale.

Sfortunatamente, tra marzo ed aprile il Consiglio si scioglie in circostanze non chiare. La nomina di Marco Anselmo Segre a rappresentante della comunità al Congresso non ha, dunque, più validità. Ciò porta i fondatori e direttori dell’Educatore, Esdra Pontremoli ed il già citato Levi, a scrivere congiuntamente una lettera a Saluzzo nel tentativo di trovare una via alternativa, perché la comunità non resti esclusa “da un fatto di tanta importanza”. La proposta di Levi e Pontremoli di rivolgersi al Commissario Regio, in qualità di facente funzioni del Consiglio, perché nomini un rappresentante per il Congresso, non dà i frutti sperati; non è chiaro se il Commissario oppose un rifiuto o se la richiesta non fu presentata affatto. Ciò che si può affermare con certezza è che Saluzzo non risulta tra le Università che inviarono un delegato a Ferrara.
Il Consiglio rimane vacante fino al 21 settembre 1863. Il 30 settembre i neoeletti consiglieri si riuniscono per discutere delle deliberazioni prodotte dalle Università riunite a Ferrara. Nel verbale della seduta sono riportate le osservazioni su quelle deliberazioni che non incontrarono la piena adesione del Consiglio. Degno di nota è il disappunto mostrato riguardo alla questione del sussidio statale al culto. Secondo gli amministratori saluzzesi non spetta allo Stato sostenere alcuna confessione, ma solo vigilare affinché esse possano essere professate in piena libertà. Se la nuova condizione di uguaglianza civile sembra essere compiutamente introiettata da Saluzzo, non mancano lievi resistenze alle conseguenze ultime di tale situazione, ovvero l’abolizione di alcune radicate consuetudini. Lo si può ben vedere nelle osservazioni relative al tema del divorzio e del matrimonio tra consanguinei. È ben chiaro al Consiglio che rivendicare il divorzio ad esclusivo vantaggio degli ebrei minerebbe le fondamenta stesse di quella parità di diritti a lungo attesa. Su tale principio i consiglieri non vengono meno e si oppongono alla richiesta di alcun tipo eccezione. È in ogni caso suggerita una petizione per estendere la facoltà di scogliere il vincolo coniugale a tutti i cittadini italiani. Quanto al matrimonio tra consanguinei, tuttavia, esortano ad aderire alle norme del nuovo codice civile eccetto che per i casi di Levirato, una consuetudine che desidererebbero fosse mantenuta in evidente contraddizione con le ragioni addotte riguardo al divorzio.
Su quest’ultimo tema, torna a soffermarsi a distanza di un anno il Rabbino di Saluzzo, E. D. Bachi. In una lettera del 31 dicembre 1864, sollecitata dal Consiglio stesso su suggerimento della Commissione esecutiva del Congresso, il rabbino espone diffusamente la propria posizione, eliminando quelle residue resistenze notate nel documento precedente: è necessario aderire compiutamente alla legge dello Stato in materia di divorzio e matrimonio tra consanguinei.
Il Consiglio si riunisce nuovamente il 17 gennaio 1865 per discutere di eventuali emendamenti da apportare alla legge del 4 luglio 1857 sull’ordinamento delle Università Israelitiche (legge “Rattazzi”). Il verbale della seduta contiene le proposte dei consiglieri, che vertono su quattro punti:

  1. le elezioni dei consiglieri amministrativi;
  2. le caratteristiche che definiscono i membri “contribuenti” di un’Università Israelitica, ovvero coloro che sono soggetti al versamento di un contributo per le spese della comunità;
  3. vertenze relative all’entità di tale contributo;
  4. elezione e revoca del rabbino.

Le modifiche suggerite rivelano come il dettato della legge risultasse eccessivamente ambiguo, prestandosi frequentemente ad interpretazioni anche molto diverse tra loro. Ciò da un lato moltiplicava le controversie giudiziarie tra contribuenti e Consigli d’amministrazione, dall’altro rendeva, al verificarsi di specifiche circostanze, ingovernabili le Università.
Nel verbale è menzionato anche l’invio della quota assegnata alla comunità di Saluzzo per le spese della Commissione esecutiva del Congresso e per la pubblicazione di “buoni libri israelitici”. Il Presidente, avv. Emanuel Segre presenta al Consiglio la ricevuta, sfortunatamente non pervenutaci, del pagamento di L. 38,38 al tesoriere della Commissione, Alessandro Malvano.
Con la circolare del 7 febbraio 1866, David Levi, nuovo presidente della Commissione esecutiva, richiede un ulteriore stanziamento di fondi da parte delle comunità per l’anno 1865. Per ragioni non chiare dalla documentazione in nostro possesso a tale richiesta seguono ben due solleciti, il primo riportato nella lettera del 29 giugno 1866, il secondo nella lettera del 6 marzo 1867, poco meno di due mesi prima che il Congresso di Firenze abbia luogo. Le lettere sono vergate da Levi ed in entrambe egli si vede costretto a ricorrere a velate minacce, promettendo di rivelare pubblicamente la condizione di morosità di Saluzzo, qualora essa si ostinasse a non esaudire le richieste della Commissione.
Il sollecito contenuto nella lettera del 29 giugno 1866, tuttavia, non riguarda solo la quota; la comunità piemontese aveva infatti omesso di rispondere all’invito a comunicare il proprio parere sulla legge “Rattazzi”, oggetto della circolare del 7 febbraio 1866. Tale silenzio da parte di Saluzzo desta una certa sorpresa, poiché si pone in netto contrasto con il dinamismo e il contributo attivo ai lavori della Commissione che la comunità mostra per gli anni immediatamente successivi all’incontro ferrarese. Con l’avvicinarsi del Congresso di Firenze, l’interesse per una soluzione “comune” alle questioni che agitavano l’Ebraismo italiano del tempo sembra significativamente attenuarsi. D’altronde, come si evince dalle reiterate e pressoché annuali richieste della Commissione, molte furono le comunità che tardarono ad inviare il proprio parere, in particolare sul tema degli emendamenti da proporre per la legge “Rattazzi”.

Non è forse un caso, dunque, che Saluzzo non invii un proprio rappresentante all’incontro fiorentino.

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